Migranti: patti e modifiche

A un mese dallo storico Patto sull’immigrazione che i 27 stati membri d’Europa hanno firmato, dopo un lungo lavoro diplomatico e oltre anni di negoziato, ci sono già defezioni allo stesso. Prima l’Olanda, poi anche 15 paesi membri dell’Unione, capofila Italia e Danimarca, hanno scritto una lettera alla Commissione Europea con la richiesta di valutare “la potenziale cooperazione con i Paesi Terzi sui meccanismi di hub di rimpatrio”

A un mese dallo storico Patto sull’immigrazione che i 27 stati membri d’Europa hanno firmato, dopo un lungo lavoro diplomatico e oltre anni di negoziato, ci sono già defezioni allo stesso. Prima l’Olanda che, dopo l’affermazione della destra alle ultime elezioni, ha chiesto un “opt-out” (deroga) alla politica migratoria europea appena congiuntamente decisa, volendo gestire la questione “in casa”, quindi secondo regole proprie, con l’obiettivo di dare una forte stretta agli ingressi. Da alcuni giorni però la sua non è più una voce fuori dal coro.

Il 16 maggio anche 15 paesi membri dell’Unione, capofila Italia e Danimarca, hanno scritto e cofirmato una lettera alla Commissione Europea con la richiesta di valutare “la potenziale cooperazione con i Paesi Terzi sui meccanismi di hub di rimpatrio”, luoghi dove i migranti rimpatriandi potrebbero essere trasferiti nell’attesa dell’allontanamento definitivo. A titolo esemplificativo viene citato l’accordo sottoscritto nei mesi scorsi dall’Italia con l’Albania, che apre a un meccanismo simile a quello ora richiesto dai quindici.

Va detto, numeri alla mano, che né per l’Unione europea né per l’Italia i rimpatri sono cosa semplice: secondo l’Eurostat nel 2022 nei ventisette paesi membri dei 431mila provvedimenti di rimpatrio ne sono stati realizzati appena il 17%, che scendono al 10% per l’Italia.

Perché questo cambio di rotta dei quindici in meno di un mese? “Riteniamo – hanno scritto nella lettera i ministri degli interni dei paesi firmatari – che per affrontare le cause alla radice della migrazione irregolare e gestire i movimenti migratori verso l’Ue, sarà necessario che tutti noi pensiamo fuori dagli schemi e troviamo insieme nuovi modi per affrontare questo problema a livello europeo”. A tal fine propongono “partenariati globali, reciprocamente vantaggiosi e duraturi con i principali Paesi partner lungo le rotte migratorie”. La logica di fondo è allontanare dal territorio di casa i migranti, facendoli attendere in un paese terzo il tempo di verifica del loro status prima dell’eventuale respingimento.

Hanno firmato la lettera, oltre a Italia e Danimarca, Repubblica Ceca, Polonia, Austria, Bulgaria, Romania, Grecia, Cipro, Malta, i Paesi Bassi, la Finlandia, Estonia, Lituania, Lettonia. Non hanno firmato, Spagna, Francia e Germania; come non hanno firmato Ungheria e Slovacchia, questi ultimi perché su posizioni ancora più restrittive riguardo i migranti.

Oltre al patto Italia- Albania, altro accordo citato dal documento è quello assai discusso tra Regno Unito-Ruanda. Il Regno Unito, uscito dall’Unione con la Brexit, ha infatti individuato nel Ruanda il paese verso cui invierà i migranti espulsi. Il provvedimento è frutto di un travagliato iter: tratteggiato fin dal 2022 da Boris Johnson, bocciato dalla Corte Suprema che riteneva il paese di destinazione non sicuro, è stato infine recentemente approvato. Che ci siano paesi che accettano simili patti di accoglienza (diventare Paesi Terzi) non stupisce: si tratta, fino ad oggi, di nazioni povere che abbisognano di risorse. In Ruanda il 56% della popolazione vive con meno di due dollari al giorno, la malnutrizione è endemica, i bisogni sono tanti. L’Albania, secondo l’Eurostat, è la nazione più povera d’Europa: circa il 30% della popolazione vive con meno di due dollari il giorno; lo stipendio medio di un operaio si aggira sui 460 euro al mese.

Lo stesso si può dire della Tunisia, con la quale l’Italia ha preso accordi un anno fa perché collabori nel frenare le partenze: lì la povertà colpisce in media il 15% della popolazione (26% nelle aree rurali), l’inflazione ha toccato il suo picco nel 2023 superando il 10%. La scorsa estate l’allora vescovo di Tunisi (oggi emerito), S.E. mons. Ilario Antoniazzi – presente a Bibione per ritirare il Premio “Mons. Luigi Padovese” – lo ha confermato, raccontando di una città in miseria con gli scaffali dei supermercati vuoti.

Ricevuta la missiva, la Commissione europea si è riservata del tempo per rispondere: da una parte perché quello richiesto sarebbe un deciso cambio di passo e quindi sono molte le valutazioni politiche e pratiche, dall’altra perché le elezioni europee sono alle porte (8e 9 giugno) e nell’urna, come in campagna elettorale, la questione migranti – comunque la si pensi – pesa assai: fuori e dentro i singoli stati membri.