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Natale in Ucraina: “E’ lecito festeggiare mentre uno piange?”
È il primo Natale che l’Ucraina celebra il 25 dicembre, insieme con l’Occidente, e non più il 7 gennaio, come ancora accade in Russia. Una decisione presa in maniera condivisa da autorità civili e comunità ecclesiali.
da Kyiv) “Tanti festeggeranno la nascita di Cristo nei rifugi antiaerei, intonando canti natalizi mentre all’esterno sentiranno il rumore dei missili o dei droni. Perché proprio durante le feste più importanti i russi intensificano gli attacchi. Ma il Natale ci sarà e noi lo celebreremo come un momento della consolazione”. È Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa greco-cattolica ucraina, a raccontare con quale spirito l’Ucraina si sta preparando a vivere il Natale. Parla al Sir e ad Avvenire nella sua residenza che si trova accanto alla cattedrale della Risurrezione di Kyiv. Anche qui ci sono state esplosioni. Il 25 novembre scorso durante un attacco, uno degli “Shahed” si è abbattuto nel quartiere, vicino alla cattedrale, e l’onda d’urto ha danneggiato le porte e fatto crollare le finestre dell’edificio. Ci sono ancora i segni e l’arcivescovo mostra i frammenti del drone che ha raccolto in un barattolo. “La guerra sta causando nel popolo ucraino una grande ferita”, dice.“Non c’è famiglia che non pianga qualcuno caduto in combattimento. O che non viva con apprensione e paura la situazione di un figlio o di un marito che sta combattendo sul fronte. C’è una domanda forte che emerge spesso: è lecito gioire in queste condizioni? È lecito festeggiare, mentre qualcuno piange?”.Shevchuk racconta di un giovane padre che qualche giorno fa a Chernivtsi gli ha rivolto questa domanda. L’arcivescovo gli ha parlato del film “La vita è bella”. “In quel campo di concentramento il padre aveva bisogno di far gioire e sorridere il figlio: era un modo per proteggerlo. Ecco, anche qui abbiamo necessità di accendere in mezzo alle tenebre la luce della gioia che il Natale ci dona. Non una gioia mondana che scaturisce dall’uomo, ma una gioia che viene da Dio e che ci dice che non siamo soli”. È il primo Natale che l’Ucraina celebra il 25 dicembre, insieme con l’Occidente, e non più il 7 gennaio, come ancora accade in Russia. Una decisione presa in maniera condivisa da autorità civili e comunità ecclesiali.
C’è chi considera il “nuovo” Natale una presa di distanza da Mosca.
Dobbiamo sempre riscoprire il senso del Natale, come dice Papa Francesco, liberarlo dalla commercializzazione, ma nelle nostre circostanze dobbiamo liberarlo anche da una eccessiva politicizzazione. Per questo lo definisco un Natale di consolazione perché veramente il popolo sofferente ha bisogno di essere consolato. E questo consolatore è Dio. E poi è una consolazione festeggiarlo trascendendo le nostre differenze, in un Paese che è multireligioso e multietnico. “Finalmente insieme”, ha scritto in un messaggio il Consiglio delle Chiese cristiane d’Ucraina.
Ma c’è una Chiesa che ha scelto di non cambiare: è la Chiesa ortodossa ucraina che affonda le sue radici nel patriarcato di Mosca e che resterà ancorata al calendario giuliano.
È una Chiesa che ormai da tempo si è auto isolata dalla società. La riforma del calendario non ha alcun intento polemico. Anche per noi non è stato facile evolversi. Alle parrocchie abbiamo lasciato libertà di scelta. Ebbene tutte hanno aderito, tranne una della regione di Kharkiv che ha chiesto di essere dispensata per quest’anno.
La diplomazia è la grande assente nella guerra in Ucraina. Fa eccezione la Santa Sede.
Siamo veramente grati a Papa Francesco per la missione concreta affidata al card. Matteo Zuppi. È una missione che non tocca il versante militare ma ha al centro una serie di questioni umanitarie quanto mai significative.Penso alla tragedia dei bambini deportati in Russia di cui quasi nessuno si occupa: invece è veramente importante. Oppure penso alle tematiche ecologiche che sono sempre dimenticate in un contesto di guerra: ad esempio, la Russia usa la minaccia nucleare, come testimonia ciò che avviene intorno alla centrale di Zaporizhzhia. O ancora penso all’assistenza al popolo ucraino attraverso gli aiuti che vengono inviati o attraverso gli appelli all’accoglienza verso i nostri profughi. I continui richiami del Papa alla martoriata Ucraina sono un invito alla preghiera ma anche un monito a non dimenticare la nostra gente. Certo è che la diplomazia oggi ha veramente bisogno di un risveglio.
L’Ucraina teme di essere abbandonata dall’Occidente?
Quando ascoltate la parola Ucraina, dovete vedere i volti umani. Dei bambini, delle donne, degli anziani. L’Ucraina è sinonimo di sofferenza. Sofferenza ingiustificabile e vittima innocente. Allora vi prego di guardare veramente in faccia questi volti e di non farli diventare un semplice argomento di gioco politico, economico, militare e così via.
La Chiesa continua a mobilitarsi.
Secondo alcune previsioni, nell’inverno appena cominciato sette milioni di ucraini vivranno un’emergenza alimentare: più dell’intera Bielorussia che ha un milione di abitanti meno di noi. Un intero Paese che ha urgenza di essere sfamato. Come comunità ecclesiale stiamo imparando a gestire questa immensa crisi umanitaria, la più grande in Europa dopo la Seconda guerra mondiale. Tanti aiuti sono arrivati sulla scia di un’onda emotiva. Adesso serve ripetere che non bisogna voltarsi dall’altra parte. E i cristiani d’Europa sono chiamati a dare una testimonianza profetica.
C’è chi ipotizza il congelamento della guerra o concessioni territoriali per fermare le armi.
Rispondo come pastore. Posso sacrificare per la mia tranquillità milioni di ucraini che subiscono atrocità nei territori occupati? Posso sacrificare i fedeli delle nostre parrocchie rimasti senza sacerdoti? Posso sacrificare i nostri due padri redentoristi arrestati da oltre un anno e di cui non abbiamo notizie certe? Io posso sacrificare me stesso per loro, ma non loro per me. Il conflitto non va congelato, ma risolto. Se congelassimo la guerra, significherebbe lasciare al nemico la possibilità di riorganizzarsi per attaccare di nuovo. Nel 2024 l’Ucraina commemorerà i 30 anni dalla consegna delle armi nucleari. Fu un gesto profetico e di fiducia nella forza del diritto internazionale. Esso deve essere la base di un accordo di pace: non va piegato alla legge del più forte o alle offensive militari. Soltanto così la pace avrà un fondamento solido.
Sarà lunga la guerra?
Non si prevede un termine corto. Quando ciascuno di noi guarda al prossimo anno, si domanda: mi porterà la vita o la morte? C’è un diffuso sentimento di paura. La guerra è un fenomeno complesso, può anche continuare con altre modalità come la disinformazione o le ritorsioni economiche. Affinché il conflitto si fermi, occorre la conversione dell’aggressione. Umanamente appare impossibile, ma dal punto di vista cristiano tutto può succedere. Cito l’Unione Sovietica: chi avrebbe mai immaginato il crollo di un tale colosso? Invece è accaduto. Mai rassegnarsi.
M. Chiara Biagioni
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