L'Editoriale
Si sta come d’autunno
Oggi, purtroppo, non viene meno la densità di significato di questi versi: di guerre la bestia umana non è mai sazia, dalla Ucraina alla Terrasanta, ma la fragilità del momento e della condizione umana si possono applicare anche alle manifestazioni metereologiche estreme figlie del cambiamento climatico. Siamo tutti reduci da giorni difficili: dalla Toscana alla Liguria, dalla Lombardia ai nostri Veneto e Friuli Venezia Giulia.
Si sta come
d’autunno
Simonetta Venturin
Lo diceva il grande Ungaretti, premio Nobel per la letteratura mancato, ma un gigante nel descrivere le situazioni di precarietà della vita umana. Erano gli anni della prima guerra mondiale e, dopo quelle scritte dall’Isonzo e dal Carso, trasferito su fronte in Francia, sperimentò la medesima fragilità dell’uomo e il valore della sua vita nella guerra di trincea: una foglia cade per una folata di vento, un soldato per una pallotta. “Soldati” è il titolo della poesia di cui abbiamo ricordato due dei quattro versi che la compongono: “Si sta come / d’autunno / sugli alberi / le foglie”: si sa che cadranno, l’unica incognita è il quando.
Oggi, purtroppo, non viene meno la densità di significato di questi versi: di guerre la bestia umana non è mai sazia, dalla Ucraina alla Terrasanta, ma la fragilità del momento e della condizione umana si possono applicare – purtroppo per noi e al contempo per colpa di noi uomini del mondo industrializzato – anche alle manifestazioni metereologiche estreme figlie del cambiamento climatico. Siamo tutti reduci da giorni difficili: dalla Toscana alla Liguria, dalla Lombardia ai nostri Veneto e Friuli Venezia Giulia.
Pordenone ha tremato per il Noncello, San Michele per il Tagliamento con ordine di evacuazione dai piani bassi delle case, arrivato nella tarda mattinata di venerdì 3 novembre e poi rientrato. Qui fiumi gonfi al limite, altrove tetti divelti per le raffiche oltre i cento cinquanta chilometri orari e ondate superiori ai quattro metri come se questo che ci circonda non fosse più il mare nostrum ma l’oceano dei surfisti.
Metteremo l’ambiente tra le priorità urgenti? Metteremo il ricorso alle energie rinnovabili e l’abbandono di quelle fossili come imprescindibile “salvavita” e salva pianeta? Ascolteremo gli esperti? O ci limiteremo ancora a rispondere, saccenti, che simili eventi estremi saranno la norma?
Prima di noi, la gravità della situazione l’aveva capita bene papa Francesco che, non oggi ma fin dal 2015 aveva scritto la lettera enciclica Laudato Si’, stupendo il mondo per il fatto che un papa si occupasse di questo. Un documento ancora dibattuto che ha avuto una vasta eco, seminari di studio sotto vari punti di vista: sociali, ecologici, politici… Non sono serviti a molto: lo dicono gli eventi a cui assistiamo e lo conferma il fatto che Francesco stesso ha rimesso mano alla penna e, il 4 ottobre scorso, ha dato vita a un secondo testo, l’esortazione Laudate Deum, che sprona ad agire, denunciando la lentezza del mondo: “Sono passati ormai otto anni (…). Ma mi rendo conto che non reagiamo abbastanza, poiché il mondo che ci accoglie si sta sgretolando e forse si sta avvicinando a un punto di rottura”. Dopo il tragico passaggio della tempesta Ciaran – che in Italia ha colpito meno che in Francia e Inghilterra – forse comprendiamo davvero il concetto e l’urgenza. Adesso che cominciamo a sentirci tutti come i soldati di Ungaretti: foglie caduche in balia del vento.
Tanti incontri si sono tenuti a livello internazionale sulla questione clima: dalla conferenza del 2015 a Parigi alla imminente Coop 28 in programma dal 30 novembre a Dubai. Questa volta tra i grandi della terra ci sarà anche papa Francesco: lo ascolteranno? E poi: agiremo?