L'Editoriale
Vacche magre all’orizzonte
Le previsioni sul futuro sono incerte e i campanelli di allarme non mancano. La febbre da spread è una preallerta, l’orizzonte si annuvola di rincari per i beni primari come l’energia (carburanti sulla soglia dei 2 euro al litro, bollette in aumento del 18% dal primo ottobre) e per gli alimentari (ricorso a un paniere di prezzi calmierati per l’ultimo trimestre 2023). La Nota di aggiornamento scorre su due binari: meno crescita da una parte, più deficit dall’altro. E sullo sfondo resta il debito pubblico fermo al 140% e senza prospettive di riduzione a breve (cala al 139,6% ma nel 2026).
La montagna partorì un topolino: lo dice una favolo di Esopo divenuta proverbiale. Vale per le promesse che, alla resa dei conti, si sgonfiano.
La Nota di aggiornamento al def (Nadef), approvata dal Consiglio dei ministri, trasmessa al parlamento, sabato 30 settembre è stata pubblicata dal Ministero di Economia e Finanza. L’iter prevede che il Governo entro il 15 ottobre invii a Bruxelles il Documento programmatico di Bilancio e subito dopo, entro il 20 ottobre, il disegno di legge di Bilancio. Disegno che va discusso in parlamento per l’approvazione della manovra entro il 31 dicembre. I tempi sono dunque stretti e ogni passo è importante per rispettare la tabella di marcia ma soprattutto per procedere senza inciampi che compromettano il cammino del paese, e di tutti noi, in un contesto dalle molte criticità, tanto che – come ha scritto lo stesso Ministro Giorgetti in Premessa alla Nadef – l’Italia si trova “in una situazione economica e di finanza pubblica più delicata di quanto prefigurato in primavera”.
Le previsioni sul futuro sono incerte e i campanelli di allarme non mancano. La febbre da spread in salita libera è una preallerta, l’orizzonte si annuvola di rincari per i beni primari come l’energia (carburanti sulla soglia dei 2 euro al litro, bollette in aumento del 18% dal primo ottobre) e per gli alimentari (ricorso a un paniere di prezzi calmierati per l’ultimo trimestre 2023). Non rasserena la linea guida della Nota di aggiornamento presentata, sostanzialmente impostata su due binari: meno crescita da una parte, più deficit dall’altro. E sullo sfondo resta il debito pubblico fermo al 140% e senza prospettive di riduzione a breve (cala al 139,6% ma nel 2026).
Insomma, la famiglia Italia guadagna di meno e si indebita pur di realizzare – e solo in parte – quanto più volte annunciato. Di fronte a questo scenario un po’ di sano timore viene ed è saggio tenerne conto per non scivolare nella leggerezza o in una eccessiva fiducia in se stessi.
Meno crescita, nel concreto, significa che quel +1% annunciato dal governo prima dell’estate è già stato ritoccato al ribasso: +0,8%.
Più deficit, significa che la soglia del 4,5% è ora ritoccata al 5,3%. E’ quindi in crescita (+0,7%), quantificata prima in 14 miliardi di spesa, poi saliti a 15,7 per il 2023 (23,5 nel triennio 2023-25) che serviranno a mantenere alcune delle misure (avvio della riforma fiscale per la riduzione delle tasse ai redditi bassi, sostegno alle famiglie con più di due figli, rinnovo dei contratti nel lavoro pubblico specie sanitario), mentre altre sono state rinviate al 2024 (taglio del cuneo fiscale). Si cercheranno al contempo risorse per attuarle col ricorso a strade non nuove (privatizzazioni), ma anche col taglio di risorse ai ministeri e a lavori pubblici non urgenti (ponte sullo Stretto), poiché sulle casse dello Stato gravano oggi pesantemente gli effetti del Superbonus, delle pensioni (confermata quota 103) e del rialzo dei tassi d’interesse.
Anche gli economisti si sono espressi all’insegna della prudenza. Carlo Cottarelli ha dichiarato di non condividere il ricorso all’aumento della spesa in un clima di incertezza economica alquanto diffusa, che richiede accortezza di spesa e prudenza. Giulio Tremonti ha rimarcato il contesto di crisi economica che già rallenta molte economie dall’Eurozona ad Oriente e si è dichiarato preoccupato in primis per il debito pubblico.
Le famiglie – attanagliate tra mutui, bollette e rincari generalizzati – hanno cominciato ad alleggerire il carrello della spesa. Lo ha indirettamente confermato il rapporto di Waste Watcher International per la campagna Spreco Zero, in occasione della Giornata contro lo spreco alimentare (29 settembre). In Italia lo spreco alimentare domestico è sceso del 25% e pure nei non virtuosi Usa è arrivato al -35% (dimezzato rispetto al 2022). E’ una statistica dalla doppia lettura: se da un lato è bene non buttare il cibo, dall’altra – poiché tutti gli otto paesi monitorati hanno dimostrato lo stesso andamento – è risultato evidente il comune minore potere d’acquisto. Tanto è vero che le categorie degli esercenti segnalano il disagio per i prodotti sempre più cari per loro e – a ricaduta – pure per gli acquirenti.
Date tutte queste premesse, uno è lo scenario che si delinea: vacche magre all’orizzonte.