Cultura e Spettacoli
Pordenone: “Galvani che ceramiche!” fino allì11 giugno
Fino all'11 giugno in mostra al museo Ricchieri di Pordenone
lzi la mano chi, vedendo delle ceramiche sul banchetto di un mercatino, non ha girato l’oggetto (magari prendendosi un’occhiataccia dal venditore) per controllare se c’era il “galletto” a garantire l’originalità della produzione Galvani.È una storia lunga quella della Ceramica Galvani di Pordenone: nata nel 1811 nei locali del convento di Sant’Antonio – lungo quella strada che sarebbe divenuta asse centrale che portava alla ferrovia (oggi Via Mazzini) – e sviluppata nei decenni da varie generazioni di Galvani. Ebbene quella fabbrica, che continuava ad avere una struttura artigianale nelle lavorazioni e favoriva la crescita dei dipendenti grazie a una scuola di disegno interna, divenne parte integrante dell’anima della città e si può dire che ogni famiglia aveva in casa le ceramiche Galvani per l’uso quotidiano dalla colazione alla cena. Molti avevano anche il “servizio buono”, ma solo per le grandi occasioni. Dopo tanto sviluppo produttivo e artistico, però, la fabbrica, ormai ceduta dai Galvani e abbandonata la sede storica in centro città, negli anni Settanta ha iniziato un malinconico declino che portò nel 1983 alla chiusura definitiva. Ma non tutto è andato perduto: nel 1984, dopo che la Sovrintendenza ai beni culturali pose il vincolo sulle collezioni della Galvani, il Comune di Pordenone le acquisì e così migliaia di pezzi fra ceramiche, disegni, documenti sono conservati nei depositi del Civico Museo d’Arte di Palazzo Ricchieri, da alcuni anni oggetto della catalogazione di tutto il materiale. E con quei pezzi è stato possibile realizzare delle mostre a tema. Ora le sale a pianterreno di Palazzo Ricchieri ospitano la mostra “Viva Galvani! Le ceramiche. La creatività. I designer”, che resterà aperta fino all’11 giugno. Curata da Loredana Gazzola, l’esposizione presenta molti pezzi inediti, talora dei prototipi, comunque lontani da quella produzione di ceramiche colorate e popolari più note; essa si basa su una linea progettuale che individua tre sezioni. La prima è dedicata ai vasi: i primi decenni del Novecento sono i più splendidi per la Galvani. I gusti cambiano, si impongono forme e disegni nuovi e la fabbrica si affida ad artisti e designer: come il pittore e grafico udinese Leo Leoncini; o come il veneziano Angelo Simonetto, dal 1930 alla direzione artistica che manterrà fino alla morte nel 1961. Ormai si pensa a una clientela medio-alta (ma senza abbandonare la produzione più popolare) e fra i nuovi prodotti ci sono i vasi. Così apprezzati che con Simonetto approderanno alla Biennale di Venezia del 1942. Sono vasi raffinati, di sorprendente tensione estetica, che genereranno altre collezioni tuttora attuali. La seconda sezione, “A tavola con Galvani”, prende in considerazione la produzione per la vita quotidiana: anche la produzione più semplice e popolare nasceva da disegni, prove colore e quant’altro serviva per la messa in produzione, la quale non sempre avveniva e restava a livello di disegno o di prototipo. In mostra si ammirano molti di questi disegni preparatori e addirittura i “campionari” colorati a mano (le foto a colori non esistevano ancora) per i venditori.Infine, le collaborazioni con gli artisti: oltre ai già citati Simonetti e Leoncini, troviamo altri nomi importanti, quali Anselmo Bucci e Giacomo Balla, il pordenonese-veneziano Armando Pizzinato, Ruffo Giuntini, Toni De Carli negli anni Sessanta; verso gli ultimi anni la Galvani si avvale del contributo degli architetti Afra e Tobia Scarpa e di Franco Giacometti. Tutto è decisamente più moderno, “pulito”, essenziale, anche lo storico marchio del galletto viene sostituito dai monogrammi dei progettisti. Ma forse non è più la Galvani che la gente era abituata a conoscere da generazioni e che oggi rincorre nei mercatini (e a che prezzi).Nico Nanni