Le lacrime del papa

Non so quante volte sia accaduto nella storia che un papa piangesse in pubblico, davanti alla folla... Non una lacrima furtiva scesa a tradire un’emozione, ma singhiozzi incontenibili a confessare un’impotenza. E’ quanto è successo l’8 dicembre a Francesco nel suo omaggio all’Immacolata. Ci affidiamo alla speranza del papa, certi della sua preghiera, un po’ smarriti per le sue lacrime: abbiamo bisogno della sua saldezza. 

Non so quante volte sia accaduto nella storia che un papa piangesse in pubblico, davanti alla folla, oggi anche davanti alle telecamere. Non una lacrima furtiva scesa a tradire un’emozione, ma singhiozzi incontenibili a confessare un’impotenza. E’ quanto è successo l’8 dicembre a Francesco nel suo omaggio all’Immacolata, un atto ripreso dopo due anni di pandemia e partecipato da ventimila persone.

Il cuore di Francesco è sempre vicino all’umanità ferita e ultima. Lo è particolarmente al popolo ucraino, aggredito e violato da atrocità che mai vorremmo raccontare. Di fronte alla tragedia dell’invasione da parte della Russia il papa non è stato fermo o parco di iniziative. L’indomani del suo avvio, il 25 febbraio, si era recato dall’ambasciatore russo presso la Santa Sede: una visita giudicata senza precedenti e fuori da ogni prassi protocollare, un gesto d’impulso dettato forse dalla volontà di offrirsi come mediatore di pace fin dai primi momenti, attonito lui come tanta parte di mondo, davanti al ritorno della guerra in Europa. Una manciata di giorni dopo, per il 2 marzo, aveva indetto una giornata di digiuno e preghiera “per salvare il mondo dalla follia della guerra”. Non si è fermato lì.

Molti mesi sono trascorsi, quasi dieci ormai: gli appelli alla pace, il sostegno concreto e le preghiere sono stati incessanti. Da una parte, domenica dopo domenica, non è mai mancato il pensiero per “la martoriata Ucraina” nelle sue parole di saluto dopo l’Angelus (che Il Popolo ha riportato settimana dopo settimana a pag.3). Dall’altra, parole di sostegno e conforto alla nazione e al suo popolo aggredito, unitamente a quelle espresse contro la follia della guerra, sono state il filo rosso di tante omelie ed udienze del mercoledì.

Davvero quel popolo e l’assurdità di quanto sta accadendo albergano nel cuore di Francesco, addolorato dal crescendo di atrocità eppure mai domo nell’invito alla preghiera come nella speranza di pace che pare vana ai più. Lo ha fatto da solo in occasioni ordinarie, nelle conferenze stampa in aereo dal ritorno dei suoi viaggi, e ancor più negli eventi speciali come nell’incontro di preghiera per la pace con i leader cristiani e delle religioni mondiali avvenuto al Colosseo il 25 ottobre, dove ha dichiarato: “Quest’anno la nostra preghiera è diventata un grido, perché oggi la pace è gravemente violata, ferita, calpestata… L’invocazione della pace non può essere soppressa: sale dal cuore delle madri, è scritta sui volti dei profughi, delle famiglie in fuga, dei feriti o dei morenti”. Lo va facendo ancora in un crescendo culminato a fine novembre in due atti: prima il ricordo de “il terribile genocidio di Holodomor, lo sterminio per la fame del 1932-33 causato artificialmente da Stalin” (23 novembre); poi la Lettera al popolo ucraino scritta nel nono mese dall’inizio della guerra, grondante vicinanza, compartecipazione e amore di padre: “Io vorrei unire le mie lacrime alle vostre e dirvi che non c’è giorno in cui non vi sia vicino e non vi porti nel mio cuore e nella mia preghiera. Il vostro dolore è il mio dolore”.

Da ultimo – che ultimo purtroppo non sarà per il protrarsi del conflitto, delle morti, delle violenze e delle distruzioni – la pubblicazione, il 5 dicembre, di un libro realizzato dal giornalista Francesco Antonio Grana che raccoglie quanto il papa ha detto in quasi un anno di conflitto. Lo hanno intitolato “Enciclica sulla pace in Ucraina”, riportando le parole della prefazione, scritta da Francesco stesso. Il papa auspica che questa sorta di diario di guerra possa al più presto diventare un diario di pace e definisce la raccolta dei suoi appelli domenicali “una vera e propria enciclica sulla e per la pace in Ucraina e in ogni parte della terra”.

Ci affidiamo alla speranza del papa, certi della sua preghiera, un po’ smarriti per le sue lacrime: abbiamo bisogno della sua saldezza. E allora torna non solo utile ma necessario ricordare l’incipit del citato volumetto in cui Francesco, riprende un passo de I Promessi sposi di Manzoni: “Non ho mai trovato che il Signore abbia cominciato un miracolo senza finirlo bene”. Fa bene crederci e implorare che avvenga: l’Ucraina e il mondo intero ne hanno bisogno, come ciascuno di noi.