Commento al Vangelo
Domenica 15 maggio, commento di don Renato De Zan
Gesù è consapevole di essere tradito da Giuda, ma non cerca di difendersi o di trovare una via d’uscita. Rimane nel cenacolo e lascia ai suoi discepoli due messaggi importantissimi. Il primo è la chiave interpretativa di tutto il suo apostolato e del mistero pasquale che lo attende. La parola chiave che fornisce la lente con cui leggere il tutto è il verbo “glorificare”. Il secondo messaggio riguarda l’eredità essenziale di tutta la sua opera. La parola chiave è “amare”.
24.04.2016. 5° domenica di Pasqua-C
Gv 13,31-33a.34-35
Come io ho amato voi, così amatevi
Tematica biblico-liturgica
1. Gesù è consapevole di essere tradito da Giuda, ma non cerca di difendersi o di trovare una via d’uscita. Rimane nel cenacolo e lascia ai suoi discepoli due messaggi importantissimi. Il primo è la chiave interpretativa di tutto il suo apostolato e del mistero pasquale che lo attende. La parola chiave che fornisce la lente con cui leggere il tutto è il verbo “glorificare”. Il secondo messaggio riguarda l’eredità essenziale di tutta la sua opera. La parola chiave è “amare”.
2. Il concetto di “gloria” nel mondo biblico non è uguale al nostro. Per noi gloria significa, trionfo, onore, vittoria, ecc. Per il mondo biblico “gloria” indica quell’aspetto di Dio (infinito) che l’uomo (finito) può esperimentare. Gesù è stato uno strumento del Padre perché il Padre potesse essere esperimentato per mezzo di Gesù (Gesù “è stato glorificato” e in lui anche Dio “è stato glorificato”). La presenza salvifica di Dio verrà ancora offerta agli uomini in ciò che sta per accadere: il mistero pasquale (“lo glorificherà…subito”). Ricordiamo come Gesù più volte abbia insistito sul tema “come Dio si sia reso esperimentabile in Lui”. In Gv 10,30 afferma: “Io e il Padre siamo una cosa sola”. In Gv 14,10 dice a Filippo: “Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere”.
3. Di fronte all’ “amore” c’è sempre il pericolo di fare riflessioni che non portano al centro dell’amore stesso, ma possono fuorviare. Per questo motivo il Maestro, mentre offre un comando, propone un modello. Il discepolo è chiamato ad amare come ha amato Gesù stesso. Di fronte a questa prospettiva l’amore voluto da Gesù è sottratto a qualunque schema culturale o filosofico. Più il discepolo impara a conoscere il Maestro, più saprà amare come il Maestro.
4. Perché Gesù offre questi due messaggi, uno interpretativo e l’altro comportamentale? La chiave di volta si trova in Gv 13,33a: “Figlioli, ancora per poco sono con voi”. Gesù sente e sa che le sue ore ormai sono contate e intende lasciare ai suoi i due elementi fondamentali per comprendere il suo messaggio e la sua persona.
Dimensione letteraria
1. Il testo biblico del vangelo ha subito due ritocchi. Il primo si trova nell’incipit. Il testo evangelico recita così: “Quando fu uscito, Gesù disse: Ora il Figlio dell’uomo…”. La formula liturgica del vangelo, invece, si esprime in quest’altro modo: “Quando Giuda fu uscito dal cenacolo, Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo…”. Il secondo ritocco consiste nella soppressione di una parte di Gv 13,33b (“voi mi cercherete ma, come ho detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire”). La soppressione è avvenuta perché si tratta di un testo esegeticamente difficile e i “Praenotanda”, 76 avvertono che “quei testi biblici che sono particolarmente difficili sono stati evitati, per motivi pastorali, nelle domeniche e solennità…”.
2. Nella formula biblica è facilmente identificabile una struttura concentrica. La prima parte, vv. 31-32, è dominata dal verbo “glorificare” (è presente cinque volte), mentre la terza parte (vv. 34-35), è dominata dal verbo “amare” (è presente quattro volte). Al centro c’è il v. 33a: “Figlioli, ancora per poco sono con voi”. Questa semplice frase colloca la formula evangelica dentro all’orizzonte dei “testamenti”, cioè di quei discorsi che il patriarca faceva prima di morire ben consapevole di vedere le cose di questo mondo da una prospettiva ormai ultraterrena.
Riflessione biblico-liturgica
1. I grandi del passato hanno lasciato una “dottrina”. Aristotele ci ha lasciato l’ “Etica a Nicomaco” (era il nome del figlio). Seneca ci ha lasciato diverse opere, come le “lettere a Lucillio” o il “De vita beata”, scritta per il fratello Gallione. Gesù non ha lasciato nessuna opera “etica”. Ha lasciato, invece, una comunità vivente di discepoli che trasmette con l’esempio la dottrina morale del Maestro.
2. Se il criterio interpretativo offerto da Gesù ai suoi serviva a comprendere l’esperienza di Dio attraverso la persona, le parole e i fatti del Maestro, il comandamento dell’amore ha una caratteristica particolare. Si tratta dell’elemento identificativo del cristiano. Gesù, infatti, dice: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri”. Non è la preghiera e neppure la ricchezza dei carismi a identificare i cristiani, ma l’amore che sono capaci di attuare gli uni verso gli altri.
3. L’amore proposto da Gesù non è il sentimento affettivo perché questo non può indirizzarsi verso i nemici e non può essere “comandato”. Scopriamo che in Gesù l’amore di cui parla è dono, servizio, è un agire per primi, è rispetto e condivisione, è gratuità. L’amore è un dono dello Spirito ed è quello che Dio ha per noi.