Pordenone
Storie dell’altro mondo
Jabir, il sarto dei Tuareg che ha trovato pace e realizzazione qui, operando in un laboratorio organizzato da Nuovi Vicini
Con l’ago e il filo ci sa fare. Ora a lui sono riservati i lavori di cucitura che richiedono più pazienza, quelli di rifinitura con la cura dei dettagli. Da tredici anni Jabari è arrivato a Pordenone direttamente dal Niger. Fa parte della comunità Tuareg degli “uomini blu”, così denominati perché si coprono il capo e il volto con un velo di quel colore, andando in giro per il deserto del Sahara. Lui confezionava capi d’abbigliamento di ogni tipo, su misura, mettendoci qualche tocco di creatività. Ha imparato il mestiere dal padre, nel rispetto delle tradizioni locali. Stava ore alla macchina per cucire, usando le gambe per spingere il pedale e le mani per far girare la manovella. Tutti i vecchi sarti si sono formati professionalmente con quell’arnese artigianale, che da noi però non si trova più in giro da decenni: ormai è un pezzo d’antiquariato.
Il curriculum di Jabari è approdato sul tavolo del laboratorio “T-essere” di Pordenone, che è una sartoria finalizzata all’inclusione sociale, attraverso le attività di disabili, persone in situazioni di bisogno, richiedenti asilo. Il progetto è realizzato dai “Nuovi Vicini, in collaborazione con la Caritas e l’Azienda sanitaria. Proprio quest’ultima, ha consigliato a Jabari di inviare la documentazione per puntare all’inserimento lavorativo, dopo un lungo periodo di cure per problemi di salute. Ha così ottenuto un tirocinio, impegnandosi nella produzione di mascherine anti-covid e di oggettistica varia: “Mi sento realizzato, perché finalmente sono ritornato al mio vecchio mestiere, soprattutto adesso che non posso più svolgere attività pesanti. Il nostro laboratorio è all’avanguardia. Mi sono messo al passo e ora me la cavo anche con macchinari più moderni e più rapidi. Ah, se si potessero usare in Niger! Si farebbero dei capolavori di manifattura tessile. Magari si creerebbe un po’ di lavoro in più in aree povere”.Jabari, nel suo Paese, si era adattato a varie esperienze occupazionali, con tanta pazienza, senza tradire mai il suo comportamento bonario: “Mi sono fatto le ossa, come tanti giovani tuareg, portando mandrie di dromedari ai pascoli, da un posto all’altro, alla ricerca dell’alimentazione necessaria. Poi ho fatto gavetta nella sartoria di mio padre, ma in famiglia dovevamo accontentarci di poco. La gente povera non può spendere più di tanto per i vestiti. Quei 7/8 dollari al giorno non ci bastavano per vivere. La scelta è stata quella di lasciare il papà in bottega, perché toccava a me andar via per cercare maggior fortuna”. Ha così seguito le orme del fratello, già da tempo a Pordenone con la moglie e i quattro figli. “Lui è tuttora dipendente di un mobilificio, io per cinque anni ho lavorato per lui sotto contratto come domestico. Siamo abituati ad avere anche questo tipo di occupazione. Non c’è nulla di strano che sia l’uomo a occuparsi di faccende domestiche”. Jabari arrotondava poi con l’aiuto nella raccolta del ferro vecchio per conto terzi.Successivamente la malattia lo ha bloccato per lungo tempo: “Sono tornato pochissime volte in Niger, perché là non si trovano le medicine di cui ho bisogno. Durante un viaggio ho rischiato di morire perché ho perso la valigia con dentro i farmaci. La mia vita è ormai in Italia, tant’è che ho fatto domanda di cittadinanza, perché sono italiano a tutti gli effetti. E poi ora c’è la sartoria sociale, dove mi sento a casa”. Resta però l’ansia per la situazione assai precaria del Niger, dove Jabari ha ancora affetti e amicizie. “Ci sono povertà (il Pil pro-capite annuo è di poco superiore ai mille dollari) e insicurezze – racconta – dovute a continui attacchi terroristici, soprattutto nella parte occidentale del Paese, nelle zone costantemente prese di mira dai militanti islamisti che scorrazzano nel Sahel. Noi vogliamo vivere tranquilli. Io sono musulmano e mi sento di sostenere che le violenze dei fanatici fondamentalisti non c’entrano nulla con la nostra religione. Anche da qui operiamo per la pace del Niger.