Commento al Vangelo
Domenica 18 luglio, commento di don Renato De Zan
"Non avevano neanche da mangiare".... Gesù, sceso dalla barca, ebbe compassione di loro...
18.07.2021. Domenica 16
Mc 6,30-34
In quel tempo,
Tematica liturgica
1. A una lettura superficiale sembrerebbe che Gesù inviti i suoi discepoli a “fare un po’ di vacanza”. Si scopre, invece, che andare da soli in un luogo in disparte serve solo a stare un po’ con Gesù, ricuperando la vocazione iniziale (M 314: “Ne costituì Dodici – che chiamò apostoli –, perché stessero con lui…”). L’invito di Gesù è, perciò, facile da capire. I Dodici, i mandati, e solo essi possono stare con Gesù dopo la missione. Lo stare con Gesù è il loro “riposo”.
2. Sappiamo che il testo evangelico ha come contesto liturgico-letterario il testo della prima lettura: Gr 23,1-6. Il testo del profeta Geremia insiste sul tema di Dio che provvede alle sue “pecore” guidate fino a quel momento da cattivi pastori. Dio si prende cura della sue “pecore” e annuncia la venuta del “germoglio giusto”, il Messia-re discendente di Davide,
3. I veri predicatori del vangelo sono tali solo e unicamente quando sono dei “mandati da Gesù”. Non agiscono, dunque, per iniziativa propria e riprendono con correttezza e autenticità l’insegnamento del Maestro (e non il proprio), riproponendolo fedelmente perché hanno imparato, stando con Lui, la sua mentalità, senza edulcorare il messaggio, ma anche senza snaturarlo con forzature indebite o parzializzarlo con silenzi riduttivi.
4. Se i “mandati” devono continuare l’opera di Gesù, devono continuarla con lo stesso stile di Gesù. Il maestro, di fronte alla gente “esplagnìsthe”, ebbe compassione. I pastori del popolo di Israele (re, sacerdoti e profeti di corte) non ebbero nel sec. VI a.C., guidando gli ebrei verso il disastro (esilio di Babilonia). Geremia, di fronte a questa sofferenza profetizza la compassione futura del Messia (“il germoglio giusto” di Davide) che Gesù Messia adempie e che i “mandati” da Gesù sono chiamati a riproporre.
Dimensione letteraria
1. L’esegesi distingue il testo di Mc 6,30-31 (il ritorno degli apostoli dalla missione) da quello di Mc 6,32-44 (la moltiplicazione dei pani e dei pesci). La Liturgia associa il brano del ritorno degli apostoli con i primi versetti del racconto della moltiplicazione dei pani e costruisce il vangelo di oggi: Mc 6,30-34. Questo accostamento sviluppa il tema dell’attenzione e della preoccupazione di Dio per l’uomo.
2. Il nuovo testo biblico-liturgico di Mc 6,30-34 al quale la Liturgia aggiunge il solito incipit (“In quel tempo”) si può leggere secondo una scansione in tre momenti: la relazione dei Dodici (v. 30), il ristoro con Gesù (vv. 31-33) e la compassione di Gesù per la folla (v. 34).
Riflessione biblico-liturgica
1. Basta un solo versetto (Mc 6,30) per sintetizzare la missione compiuta dai Dodici: “Gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato”. Il verbo “insegnare” (didasko) viene usato da Marco 17 volte: 15 volte indica l’insegnamento di Gesù, 1 volta l’insegnamento fatto dagli apostoli (il nostro brano) e 1 volta in una citazione di Isaia (Is 29,13). Per Marco, dunque, l’insegnamento è solo quello del Maestro. L’insegnamento degli apostoli (chiamati da Marco così solo nel nostro brano) non è altro che il prolungamento di ciò che il Maestro ha insegnato.
2. Marco vuole mettere in parallelo ciò che ha vissuto Gesù con ciò che vivono gli Apostoli. Dopo la prima giornata di apostolato, Gesù “si ritirò in un luogo deserto” (Mc 1,35). Dopo la prima missione gli apostoli vengono invitati ad andare con Gesù “in un luogo deserto” (Mc 6,30). In Mc 3,20 l’evangelista narra come Gesù fosse assediato dalla gente tanto che il Maestro e i suoi “non potevano neppure mangiare” (Mc 3,20). Anche dopo il ritorno degli apostoli tanta gente andava da Gesù e dai Dodici ed essi “non avevano neanche il tempo di mangiare” (Mc 6,31). Gli apostoli, dunque, sono chiamati non solo a continuare la predicazione di Gesù, ma anche a vivere le stesse esperienze del Maestro.
3. In Nm 27,17 si narra la designazione di Giosuè al posto di Mosè perché gli Ebrei non fossero “come pecore che non hanno pastore”. Dio ha cura del suo popolo. Questa cura è “materna”. Gesù nei confronti della gente ha un sentimento di “compassione” espresso in greco dal verbo “splanchnìzo” (“avere viscere materne”, da “splagna” che traduce l’ebraico “rèchem”, “utero”). La compassione di Gesù non è sentimentalismo. Gesù traduce la compassione in insegnamento (“si mise a insegnare loro molte cose”). Il motivo è chiaro. Egli dirà, nel vangelo di Giovanni: “Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Gv 8,31-32).