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La nuova ondata di contagi diventa un’ulteriore provocazione alla salute mentale
Grande e utile strumento di contenimento della paura è evitare al massimo l’isolamento
Nei dibattiti pubblici si è parlato molto del danno sanitario e del danno economico causati dal coronavirus, meno del danno psicologico sulla salute mentale. Le conseguenze di tale danno sono purtroppo ancora ben evidenti nelle persone e diventano ogni giorno più impegnative per gli operatori dei servizi che si dedicano alla salute mentale.
Le prime fasi della pandemia sono state caratterizzate da molta incertezza sulla natura della malattia, sulla sua diffusione e sulla sua portata. Questo ha determinato in molte persone un forte disagio emotivo, anche in quanti, nelle zone più colpite dal virus, non erano stati direttamente coinvolti dalla malattia.
L’ansia è stata provocata da tantissimi elementi, ne citiamo i più significativi: la scarsa conoscenza scientifica della malattia e la difficoltà ad elaborare adeguate strategie contro il contagio, la carenza evidente in alcune regioni delle risorse del Servizio Sanitario nazionale, l’imposizione di limitazioni di spostamento, l’interruzione di tante attività lavorative, le opinioni discordanti dei tecnici, la separazione da familiari ubicati fuori regione, la diminuzione di accesso ai luoghi di sostegno religioso e comunitario, l’amplificazione esagerata dei programmi televisivi 7 giorni su 7, la morte degli operatori sanitari.
Come restare con i nervi a posto?
Lo scompenso emotivo è stato generalizzato, la gravità dello scompenso è una variabile soggettiva. La fascia della popolazione più esposta è stata ovviamente quella che comprendeva persone già affette da disturbi mentali e che si sono rivelate particolarmente fragili.
I disturbi d’ansia sono diffusi in tutte le fasce di età, nel nostro territorio italiano, così come la diagnosi di depressione, in netto aumento nella popolazione con il nuovo millennio.
I segnali di malessere psicologico sono stati registrati e curati dai Servizi che si occupano della salute mentale, in primis il Dipartimento di Salute Mentale, di seguito i Consultori Familiari e i medici di base.
Questi disagi hanno trovato risposta in iniziative pubbliche e private ancora poco conosciute.
La prima iniziative à stata pensata dalla Cei con “Rete che ascolta”, un numero di telefono per sostenere le famiglie, attivato il 1° luglio e che collega 63 Consultori familiari.
A Treviso dal 1° ottobre è operante “Lo psicologo di quartiere”, un time di psicologi per un progetto pilota per rispondere alle richieste di aiuto dei cittadini provati dal disagio psicologico causato dalla pandemia.
A livello nazionale il “Decreto di agosto” ha previsto una riorganizzazione dei Servizi Sanitari con l’obiettivo di “Efficientare i servizi di salute mentale” e di “garantire il benessere psicologico individuale e collettivo in considerazione della crisi psicosociale determinata dall’eccezionale situazione sanitaria”.
Nel nostro territorio il Dipartimento di Salute Mentale ha attivato un “Punto di ascolto” a favore del personale sanitario e dei cittadini Covid-19 positivi, attivo su chiamata telefonica dal lunedì al venerdì.
Ora la nuova ondata di contagi diventa un’ulteriore provocazione alla nostra salute mentale. Se piccole dosi di paura ci rendono prudenti, una paura generalizzata e diffusa aumenta lo stress emotivo e provoca reazioni a catena.
Si rendono necessari interventi precoci e specifici per la protezione dello stato emotivo delle persone.
Grande e utile strumento di contenimento della paura è evitare al massimo l’isolamento, non nel senso di provocare pericolosi assembramenti, bensì nel senso di condividere e dare nome alla paura con persone adulte e responsabili e, ovviamente, attivarsi nel quotidiano nel rispetto delle prescrizioni igienico sanitarie ben note a tutta la popolazione e finalmente coralmente richieste da tecnici e politici.