Attualità
“Non sappiamo niente del vaccino russo”
"La ricerca scientifica su Sars-CoV-2 ha mostrato una grande capacità di rispondere prontamente a una malattia grave come questa per il numero dei soggetti coinvolti, ma sul vaccino russo annunciato, martedì 11 agosto, da Putin non sappiamo nulla": lo sottolinea al sir Roberto Cauda, ordinario di malattie infettive all’Università Cattolica e direttore dell’Unità di malattie infettive del Policlinico Gemelli di Roma.
Martedì 11 agosto un annuncio che tutto il mondo attende: un vaccino contro il Covid-19. Infatti, il premier russo Vladimir Putin ha comunicato che è stata effettuata la registrazione del vaccino russo anti Covid-19, lo “Sputnik 5”, che sarebbe stato somministrato anche alla figlia. Ma la reazione da parte di esperti e ricercatori di tutto il mondo non si è fatta attendere. Preoccupa soprattutto la sicurezza poiché non c’è stata una sperimentazione su larga scala. Intanto, continuano a crescere nel mondo il numero di contagiati e di morti e anche in Italia l’indice di trasmissione nazionale ha ripreso a salire. Di tutto questo parliamo con Roberto Cauda, ordinario di malattie infettive all’Università Cattolica e direttore dell’Unità di malattie infettive del Policlinico Gemelli di Roma.
Roberto Cauda
Professore, che cosa pensa dell’annuncio dato da Putin?
Si sa poco del vaccino russo. Hanno fatto una sperimentazione accelerata, su questo non c’è dubbio. La novità, rispetto ai vaccini su cui si sta lavorando in altre parti del mondo, è che il ministero della Salute russo lo ha approvato. Ogni notizia sul vaccino in sé è una notizia buona, ma questa bisogna prenderla con le dovute cautele, perché un vaccino deve essere sia efficace – e nel caso russo non sappiamo se lo sia – sia sicuro. E la sicurezza deriva dal completamento di tutte le fasi necessarie per la sperimentazione di un farmaco o di un vaccino: lo studio sugli animali, la sperimentazione prima su un numero ristretto di volontari e poi su un numero più consistente. Per il vaccino russo non sappiamo se queste fasi sono state rispettate, non c’è nessun tipo di lavoro scritto: non sappiamo quando la sperimentazione è iniziata, ho letto che il vaccino usi come vettore l’adenovirus, ma sono notizie riferite dai mezzi di stampa. Degli oltre 150 gruppi che stanno lavorando sui vaccini, ce ne sono quattro su cui si hanno informazioni superiori, ad esempio su effetti collaterali e tipo di anticorpi, neutralizzanti, che producono, essendo usciti articoli su importanti riviste scientifiche internazionali: il vaccino cinese, quello americano di Moderna, il tedesco-americano e quello dell’Università di Oxford. Ribadisco, invece, che
del vaccino russo non sappiamo nulla.
Ipoteticamente, c’è stato tempo sufficiente per verificare che il vaccino russo non abbia effetti collaterali pericolosi?
Sicuramente, c’è un primo aspetto da tenere in conto che è la sicurezza del vaccino, sia nell’immediato sia nel lungo termine. Poi non basta sapere che il vaccino produca anticorpi, che ci auguriamo siano neutralizzanti cioè in grado di bloccare il virus: occorre sapere la durata dell’effetto. Qui, gioco forza, al massimo l’effetto registrato si riferisce a pochi mesi, mancano i tempi tecnici per avere ulteriori informazioni. Oggi siamo in una situazione di vigile attesa: tutti gli altri vaccini che ho citato sono in una fase avanzata, ma ancora prematura per essere sottoposti agli enti regolatori.
Lo “Sputnik 5” è stato approvato solo in Russia, non è passato al vaglio degli altri enti regolatori.
La ricerca scientifica con Sars-CoV-2 ha mostrato una grande capacità di rispondere prontamente a una malattia grave come questa per il numero dei soggetti coinvolti: attualmente 20 milioni di persone e centinaia di migliaia di morti. Di fronte a una malattia che ha questa diffusione, allora, ben vengano le sperimentazioni dei vaccini. Ogni giorno assistiamo a nuovi focolai che vengono controllati e spenti, ma il rischio di un incendio più vasto c’è sempre.
Ma quando possiamo ipotizzare che ci sarà un vaccino affidabile?
Per tutti i vaccini, l’atteggiamento giusto è: aspettiamo e vediamo. La scienza ha fatto passi da gigante, ma le fasi vanno rispettate.Ragionevolmente, penso che non prima del 2021 la gente possa vaccinarsi. Tra l’altro, non basta che ci sia un vaccino, ma che questo sia disponibile.
E nel frattempo? In Italia fino al 7 settembre sono state prorogate, dall’ultimo Dpcm del premier Conte, le misure precauzionali anti contagio…
Al momento va benissimo identificare, tracciare e isolare i casi. Non c’è un cambiamento delle regole del gioco, questo sarà possibile solo con il vaccino. Oggi questa infezione o si combatte con delle misure rigidissime, che però possono durare solo per poco tempo – il lockdown è stato fatto in Italia, ma non è più proponibile -, o con il rispetto delle norme di prevenzione, tramite l’uso della mascherina, il distanziamento fisico e il lavaggio frequente delle mani.Ci troviamo, dunque, in una situazione in parte affidata alle strutture sanitarie, ma in larga parte alla buona volontà dei singoli. E, oggi, non tutti i singoli sono responsabili.
Tutti giorni assistiamo a scene di assembramenti o ascoltiamo gente che crede che non sia più necessario avere prudenza…
C’è una grande voglia di mettersi alle spalle i giorni di lockdown, in cui la nostra vita era sospesa. Questo è un atteggiamento psicologico comprensibile, ma è meno spiegabile e giustificabile il fatto che la gente non comprenda che siamo davanti a una pandemia piuttosto grave, i numeri parlano da soli.Le immagini di Bergamo e Brescia con le bare trasportate da mezzi militari dovrebbero essere nel nostro cuore, per rispetto della tragedia di chi è morto e dei suoi familiari, e ci dovrebbero insegnare che siamo ancora in mezzo al guado. Infatti, al di fuori del vaccino, le norme di prevenzione possono solo mitigare la diffusione della malattia, non evitare completamente i contagi. Inoltre, adesso assistiamo a un maggior numero di contagi tra persone sotto i 40 anni, anche tra ventenni, con casi importati da italiani che sono andati per turismo all’estero, stranieri che vengono in Italia o immigrati. Non vogliamo colpevolizzare nessuno, ma questo è un dato di fatto. Sono casi di ritorno. Un’altra parte dei casi che stiamo scoprendo dipende dai test sierologici che aiutano a trovare gli asintomatici, il vero tallone d’Achille della prevenzione.
Quando sono scoperti focolai, in Italia oramai ce ne sono da Nord a Sud, vengono attuate delle mini zone rosse. È sufficiente?
Ogni tentativo di controllo della diffusione del virus è una misura di per sé necessaria, anche se l’efficacia si valuta nel tempo e non nell’immediatezza.Comunque, dove ci sono dei cluster è importante cercare di testare il più possibile le persone, tracciarle e trattarle, con l’isolamento. Si parla molto anche della messa in quarantena di persone che provengono da Paesi a rischio e dell’utilizzo di nuovi test rapidi nei luoghi di arrivo di questi soggetti per identificare eventuali casi. È chiaro che si fotografa quel momento, non si riesce a identificare tutti i casi al 100%, perché magari alcuni hanno solo in incubazione il virus e dai test questo non risulta.
L’indice nazionale di contagio sta risalendo. Dobbiamo preoccuparci?
Dopo un lungo periodo in cui abbiamo registrato una stazionarietà di casi, c’è una tendenza all’aumento, per le ragioni che dicevo prima. Adesso si ammalano soprattutto i giovani che spesso hanno una forma asintomatica, ma che ugualmente possono contagiare genitori e nonni. Rispetto alla situazione epidemiologica siamo sul filo del rasoio,possiamo migliorare o peggiorare: si potrebbero ridurre progressivamente i casi, tornando a un numero limitato di contagi – zero è impossibile -, oppure i contagi potrebbero salire, facendo andare in sofferenza il sistema sanitario. Perciò, sono necessari l’impegno e la responsabilità di tutti, in attesa del vaccino.