Pordenone
Barbara Andreuzzi: da Lestans all’Africa per merito di un terremoto
Haiti e il suo terremoto devastante. Anche della vita di Barbara Andreuzzi che da Lestans di Sequals parte in aiuto di chi non ha più niente. Per non fermarsi più: ora è in Africa (Tanzania) accanto alle mamme e ai piccoli
Le immagini scorrevano nel video. Sconvolgenti. Misere case rase al suolo: morti, feriti, disperati senza più niente. Ad Haiti, dieci anni fa il terremoto provocò oltre 200 mila vittime. Quelle scene drammatiche toccarono la sensibilità di Barbara Andreuzzi, tanto da scompaginarne la vita. Lei, giovane infermiera, con un titolo professionale ottenuto a San Daniele del Friuli, aveva da poco trovato lavoro all’ospedale di Bassano del Grappa. “Non potevo restarmene indifferente di fronte a quella catastrofe umanitaria”, spiega così la sua svolta esistenziale. Decise di andare in quelle terre martoriate. Lasciò tutto, anche gli affetti più cari che aveva a Lestans di Sequals, suo paese natale. Partì per dare soccorso a una popolazione già tormentata dalla miseria. “Per la verità – ammette – era da tempo che avevo maturato la decisione di fare un’esperienza di volontariato in luoghi di povertà estrema. Avevo già preso contatto con l’Agenzia Scalariniana per la Cooperazione allo Sviluppo, pronta a seguire un progetto concreto. Fui accontentata. Nel 2011 andai a lavorare in una clinica nella periferia della capitale Port-au-Prince”.Barbara entrò così nel vortice della solidarietà, senza più uscirne: “Questa è consapevolmente diventata la mia vita. All’inizio, l’idea era di rientrare in Italia, dopo un breve periodo all’estero, per riprendere il lavoro più motivata professionalmente. Ma non avevo calcolato l’effetto che Haiti avrebbe avuto su di me, travolgendomi. Le piaghe della povertà cambiarono radicalmente la mia visione del mondo, scardinando le priorità di un’esistenza che non poteva più accettare l’indifferenza”. In quei posti di disperazione, i suoi ragionamenti cominciarono a ruotare attorno al significato di una parola per lei incisiva: inaccettabile. Sono inaccettabili le disuguaglianze profonde che esistono in giro per il mondo. Così, il rientro in Friuli fu soltanto una tappa. Oggi, in Tanzania, Barbara segue per l’ong Medici con l’Africa – Cuamm un progetto la cui denominazione racchiude il nocciolo di una sfida umanitaria: “Prima le mamme e i bambini. Nutriamoli”. In questo caso, la priorità degli interventi è la lotta alla malnutrizione. Nel suo consistente curriculum, ci sono anche tre anni in Mozambico e uno in Angola, sempre con il Cuamm.L’Africa è diventata la madre di tutte le battaglie contro le ingiustizie sociali, a partire dalla sanità: un diritto per tutti e non un privilegio per pochi. Perché l’Africa? “Mi ha preso dentro – spiega Barbara – perché qui ho capito quanto sono stata fortunata a nascere in Europa. Sentivo il dovere di impiegare una parte della mia fortuna”. Capita che nel volontariato maturi una sorta di “do ut des”: si dà e si riceve. “L’Africa – ammette – mi ha restituito dieci volte tanto, per esempio mi ha insegnato che non abbiamo bisogno del superfluo per essere felici. È importante l’essenzialità, non serve nulla di più. Alla fine sono le relazioni umane la cosa più importante”. Stronca sul nascere le provocazioni ricorrenti del tipo: “Ma anche in Italia si può aiutare il Prossimo”. Barbara non vuole proprio entrare nella vacuità degli slogan: “È fondamentale aiutare chi ha bisogno. Ovunque. In Italia ci sono tante persone sensibili che se ne occupano. In Africa no, manca tutto. Sta a ciascuno di noi decidere dove sentirsi più utili in base a professione, carattere ed esperienze”. In definitiva, “l’altro” per lei ha connotazioni ben chiare: “È colui che mi fa crescere grazie alle diversità; che mi mette davanti ai miei limiti; che mi stimola a migliorare e a sentirmi viva; che riesce ancora a regalare un sorriso”.Ora Barbara lavora a Bariadi, nel nord della Tanzania. La finalità del progetto che segue è soprattutto quella di ridurre il numero dei bambini, sotto i cinque anni, che soffrono di malnutrizione acuta, un fenomeno molto diffuso in Africa. In che cosa consiste? Barbara sintetizza: “Prevede tanti interventi di sostegno con prodotti terapeutici, tanta educazione alla salute con il coinvolgimento dei genitori, tanta formazione per il personale sanitario”. Lei stessa, lo scorso anno, ha ripreso gli studi. A Londra ha conseguito il master in nutrizione. In realtà, tutto ciò non basta. Ecco che cala l’asso: il dialogo con le comunità locali. “La collaborazione è fondamentale per sradicare usanze errate. Pensiamo per esempio al fatto – spiega Barbara – che in molti luoghi la donna incinta non mangia uova, ricca fonte di proteine, per paura che il bambino nasca calvo. Oppure, che al momento del pasto, sia l’uomo a servirsi per primo, fino a raggiungere la sua sazietà, ma a causa della scarsità di cibo i bambini e le donne ricevono quantità alimentari inadeguate. Non è semplice superare le diffidenze, alcuni risultati però già si vedono. Una forte barriera è costituita dalla lingua, ma tutto lo staff del Cuamm si prodiga fin dall’arrivo a imparare lo swahili per favorire la comprensione del progetto”.Da qualche mese si è messo anche il coronavirus a complicare la vita grama di ogni giorno. In Tanzania il governo ha deciso di ammorbidire le regole del lockdown per non far collassare la già fragile economia. Nel Paese metà della popolazione vive sotto la soglia di povertà rappresentata da due dollari pro capite al giorno. La fame fa più paura del virus. “C’è stata però una sensibilizzazione per l’uso dei dispositivi di protezione e di prevenzione del coronavirus, anche perché, in caso di contagio, le strutture sanitarie sono insufficienti. Tutto è carente, quindi i rischi sono elevati. Ho notato – sostiene Barbara – che alcuni messaggi sono stati messi in pratica, soprattutto riguardo l’igiene delle mani. Invece, l’opera di distanziamento è molto più difficile”. Che ne sarà dell’Africa? Barbara misura i problemi con il metro dell’ottimismo: “Il Continente nero è in crescita e alza il livello della formazione e delle professionalità. Purtroppo il percorso è ancora lungo. Quello che possiamo fare è di continuare il sostegno alle popolazioni”. Intanto non mancherà il suo impegno in Africa, sempre in collaborazione con il Cuamm: “Sono in piena sintonia con i principi e i metodi dell’organizzazione. In più c’è tanta umanità nei rapporti. Quando si è lontani da casa fa piacere sentirsi parte di un progetto e dà sicurezze. Non si è lasciati soli”.Giuseppe Ragogna