L'Editoriale
Silenziosa e diffusa strage
Una falcidia tremenda quella degli anziani nelle case di riposo. Il medico belga Hans Kluge, direttore europeo dell'OMS lo ha ammesso: "Quasi la metà di tutte le vittime da coronavirus in Europa vivevano nelle case di cura".
Silenziosa e
diffusa strage
Simonetta Venturin
E’ stata una falcidia tremenda quella degli anziani nelle case di riposo. Perché il Covid-19 ha colpito pesantemente le persone ricche d’età, ma quelle ricoverate nelle strutture ancora di più. Il medico belga Hans Kluge, direttore europeo dell’organizzazione mondiale della sanità, lo ha ammesso: “E’ una tragedia umana di dimensioni inimmaginabili. Quasi la metà di tutte le vittime da coronavirus in Europa vivevano nelle case di cura”.
Queste le percentuali dei decessi nelle Rsa, rispetto ai totali: in Irlanda il 55%, in Spagna il 53%, in Francia il 49%, in Portogallo e Svezia il 33%, in Italia il 24%.
Come sia potuto succedere è allo studio del Cergas, istituto di ricerca della Bocconi di Milano (anticipazioni di Elisabetta Notarnicola e Andrea Rotolo sul Corriere della Sera di venerdì 24 aprile). Sette le criticità messe a fuoco: le Rsa si sono trovate sole nella gestione dell’emergenza; i rapporti con la rete ospedaliera e la sanità locale sono stati bloccati per proteggere gli ospedali dall’eccesso di ricoveri; le relazioni con i medici di famiglia sono state sporadiche (alcune Rsa hanno un medico di riferimento, in altre i pazienti mantengono il proprio medico di famiglia); in alcune regioni è stato chiesto alle Rsa di ospitare malati Covid-19 appena dimessi dagli ospedali; la distribuzione di materiale protettivo per gli operatori ha dato precedenza agli ospedali, lasciando scoperte varie Rsa; i singoli gestori hanno dovuto procurarsi da soli i dispositivi per la sicurezza degli operatori, anche all’estero, registrando ritardi d’utilizzo; l’attività di screening attraverso tamponi non è stata prevista in modo sistematico.
Non si va contro le Rsa – ci sono stati esempi di dedizione commovente anche vicine a noi -, quanto contro tutto un sistema che, lo dicono i dati, va rivisto. Quello che le sette criticità hanno codificato col loro linguaggio asettico corrisponde agli sfoghi e alle lacrime di operatori, lavoratori e familiari delle vittime, che da settimane vediamo in tv o nel web, che leggiamo sui giornali. Quante le segnalazioni di mancanza di adegute protezioni per operatori, di tamponi per operatori e ricoverati, di non presa in carico dal 118?
Le Rsa non sono un ospedale, non ne hanno attrezzature e professionalità. Molti responsabili hanno denunciato di essersi sentiti soli nel gestire l’emergenza. Lo stesso dicasi dei familiari: tagliati fuori per l’isolamento preventivo, informati via telefono. Qualcuno ha dichiarato di aver saputo il venerdì che il genitore aveva la febbre e la domenica che non ce l’aveva fatta.
Non si fa di tutta l’erba un fascio. Ma è amarissima la presa di coscienza: questa diffusa quanto silenziosa strage di ricoverati è figlia della nostra (non) cultura dell’anziano. Su questo deve interrogarsi ciascuno di noi e chi disegna le linee sociosanitarie di un paese.
Dietro quegli orrendi numeri – pur necessari per dare sostanza a una denuncia -, c’erano volti, cuori, storie, pezzi di noi, delle nostre famiglie. C’erano persone che ci hanno lasciato un’eredità di forza e di coraggio per la Storia che hanno attraversato e un po’ del loro Dna del quale siamo figli o nipoti. Sapessimo almeno meritarlo.