Domenica 10 febbraio, commento di don Renato De Zan

Ognuno è chiamato, a modo suo, per collaborare al piano di Dio: Paolo dice che ad ognuno è data una manifestazione dello Spirito (1Cor 12,7). Dentro a questo mistero si colloca la chiamata di ogni credente. Sia che venga chiamato alla vita da single o alla vita matrimoniale o alla vita consacrata o al sacerdozio, il cristiano diventa collaboratore del progetto divino di salvezza.

Lc 5,1-11In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca. Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: “Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca”. Simone rispose: “Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti”. Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare. Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: “Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore”. Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: “Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini”. E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.

Tematica liturgicaPaolo dice che ad ognuno è data una manifestazione dello Spirito (1Cor 12,7). Dentro a questo mistero si colloca la chiamata di ogni credente. Sia che venga chiamato alla vita da single o alla vita matrimoniale o alla vita consacrata o al sacerdozio, il cristiano diventa collaboratore del progetto divino di salvezza. Si tratta di una esperienza vissuta da tutti, spesso ignorata da molti. Il silenzio e l’ascolto permettono al credente di cogliere in sé e nei “segni” di cui Dio lo circonda, quale sia la chiamata divina. Il tessuto sociale, purtroppo, può interferire pesantemente nell’accoglienza della chiamata. Oggi il credente è sottoposto a tante seduzioni: il miraggio dei soldi e della fama, l’arrivismo, i modelli sbagliati di autorealizzazione, i condizionamenti imposti dai genitori, i modelli disumanizzanti offerti dalla società, ecc. La Liturgia odierna offre una splendida trilogia di vocazioni: quella di Pietro (vangelo; Lc 5,1-11), la vocazione di Isaia (prima lettura: Is 6,1-2a.3-8) e, in modo indiretto,  quella di Paolo (seconda lettura: 1 Cor 15,1-11). Si tratta di tre vocazioni destinate all’apostolato diretto, come all’apostolato diretto è la vocazione sacerdotale-ministeriale. Certamente chi vive questa chiamata, percepisce qualche cosa di straordinario e di eccezionale rispetto alla chiamata, numericamente più diffusa, per la vita matrimoniale o per la vita da single. Chi ha la vocazione sacerdotale, per l’imposizione delle mani del vescovo, riceve il compito di continuare ciò che Gesù ha iniziato: annunciare la Parola con la fedeltà e l’autorità apostolica (proporzionata all’ordine), avvicinare e rendere esperimentabile il Signore ai fedeli attraverso i vari Sacramenti, in modo particolare attraverso il Battesimo, l’Eucaristia e la Riconciliazione, rendere vivo, presente e operante il Regno. Il sacerdozio ministeriale, poi, ha molteplici modi per esprimersi. La dichiarazione conciliare “Presbyterorum Ordinis” dice che “tutti i presbiteri, cioè, hanno la missione di contribuire ad una medesima opera, sia che esercitino il ministero parrocchiale o sopraparrocchiale, sia che si dedichino alla ricerca dottrinale o all’insegnamento, sia che esercitino un mestiere manuale – condividendo le condizioni di vita degli operai, nel caso che ciò risulti conveniente e riceva l’approvazione dell’autorità competente -, sia infine che svolgano altre opere d’apostolato o ordinate all’apostolato…” (P.O n.8).

Dimensione letterariaIl testo biblico di Lc 5,1-11 e quello biblico-liturgico sono uguali, tranne per il solito incipit liturgico (“In quel tempo”). Sotto il profilo narrativo, il brano evangelico è scandito da tre scene. Nella prima Gesù è il Maestro che insegna alle folle (Lc 5,1-3). È la scena che presenta il modello di ciò che dovranno essere i suoi apostoli: collaboratori di Dio affinché venga offerta alle folle la possibilità di “ascoltare la parola di Dio” (e sicuramente non proclami politici di tipo zelota o anti-romani oppure scelte ideologiche pro-farisei o pro-sadducei). Nella seconda scena Gesù compie un segno a favore di coloro che chiamerà (Lc 5,4-7). È la scena in cui il Maestro offre un segno che sia comprensibile ai pescatori che sta per chiamare (un segno diverso da una pesca miracolosa avrebbe forse fatto contento il lettore del vangelo, ma non avrebbe convinto i pescatori che stavano per diventare discepoli del Maestro). La terza scena è la chiamata di Pietro (Lc 5,8-11). È la scena in cui il chiamato percepisce la sproporzione tra ciò che è (“peccatore”) e chi è colui che lo chiama (“Signore”). Contemporaneamente sa che tale chiamata implical’ abbandono di tutto ciò che apparteneva alla sua vita precedente.

Riflessione biblico-liturgicaQuando Dio chiama uno al sacerdozio ministeriale compie un gesto di amore per l’umanità .Se Dio parlasse direttamente farebbe paura. Lo aveva già detto Israele ai piedi del Sinai: “Allora dissero a Mosè: “Parla tu a noi e noi ascolteremo, ma non ci parli Dio, altrimenti moriremo!”” (Es 20,19). Se non fosse un uomo a parlare la Parola, la Parola cesserebbe di possedere la sua caratteristica prima, quella di incarnarsi costantemente.