Diocesi
Perdere o salvare la vita: è una questione di scelta
La confessione messianica di Pietro nei confronti di Gesù (Mc 8,27-30) è il cuore del secondo vangelo
Mc 8,27-35
In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: “La gente, chi dice che io sia?”. Ed essi gli risposero: “Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti”. Ed egli domandava loro: “Ma voi, chi dite che io sia?”. Pietro gli rispose: “Tu sei il Cristo”. E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno. E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: “Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”. Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà”.
TEMATICA LITURGICA
La confessione messianica di Pietro nei confronti di Gesù (Mc 8,27-30) è il cuore del secondo vangelo. Gesù chiede cosa la gente pensi di Lui. La risposta manifesta la grandissima stima di cui Gesù era circondato (“Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti”). La proclamazione messianica fatta da Pietro culmina in una visione teologicamente vincente. Gesù è più del Battista e di Elia e di un profeta: egli è il Messia! Immediatamente Gesù corregge la visione trionfalistica che lo circonda, ricordando le profezie isaiane del Servo di Yhwh. La Liturgia, molto opportunamente, propone all’assemblea gran parte del terzo carme (cfr la prima lettura, Is 50,5-9). Fra i vari messianismi (regale, sacerdotale, profetico, sapienziale e sofferente) Gesù ricorda che il perno del suo messianismo è quello sofferente. Le alte visioni messianiche sono elementi veri con valore complementare al messianismo del Servo. Gesù certamente si proclama re davanti a Pilato, compie gesti sacerdotali ascendendo al cielo, profetizza la fine di Gerusalemme e la fine del mondo, è uno più grande del sapiente re Salomone. Gesù, però, è soprattutto il Messia che muore e risorge per la salvezza di tutta l’umanità e del mondo.
I discepoli di questo Maestro non possono imitarlo come vogliono. Gesù, stesso, infatti, traccia le caratteristiche del discepolato cristiano. Non si può, dunque, essere cristiani in modo “ideologico” o “devozionistico”, pensando che stili di vita e di relazioni possano essere frutto di una nostra preferenza. Si è cristiani quando si accetta di essere dei discepoli (= imitatori) di un Messia che ha obbedienzialmente accolto dal Padre la missione di salvare il mondo non con la logica degli uomini (la vittoria, la forza, la riuscita, il potere), ma con la logica di Dio (la proposta, la pazienza, la sofferenza, l’amore, il perdono, ecc.), che possiede una sapienza enormemente più alta della massima sapienza umana (cfr 1 Cor 1,17-31).
DIMENSIONE LETTERARIA
Nel testo originale del vangelo, la confessione messianica di Pietro (Mc 8,27-30) costituisce un testo distinto dal primo annuncio della passione-resurrezione (Mc 8,27-30) e dal testo che illustra le condizioni per essere discepolo di Gesù (Mc 8,34-38). La Liturgia odierne associa i primi due brani, arricchendoli di un primo frammento del terzo (Mc 8,34-35). Il risultato è un testo biblico-liturgico composto, al quale viene premesso il solito incipit “In quel tempo”, che sostituisce l’originario “poi”.
La fisionomia che ne risulta è interessante. Il Messia confessato da Pietro è il Servo sofferente. Il testo della prima lettura (Is 50,5-9a tratta da Is 50,4-11: terzo carme del Servo di Yhwh) illustra sia la sofferenza del Servo per la salvezza dell’umanità, sia l’approvazione e la protezione di Dio nei confronti del Servo. Possono essere discepoli di Gesù-Servo solo coloro che accettano la logica del Maestro. Il discepolato cristiano è alla sequela di un Messia che vive fino in fondo la volontà del Padre, nell’umiliazione della morte e nella gloria della risurrezione.
RIFLESSIONE BIBLICO-LITURGICA
a. A Gesù non interessa il parere né dei teologi (cfr scribi, maestri della Legge), né dei devoti (cfr farisei, sadducei, zeloti, ecc.). Al Signore interessa il parere di coloro che lo hanno ascoltato e lo hanno visto operare i miracoli. Gli interessa anche il parere dei discepoli che sono vissuti con Lui fin dagli inizi del suo apostolato pubblico. Vuole conoscere il parere dei “testimoni”.
b. Gesù non rifiuta Pietro. Lo richiama affinché si allontani dall’atteggiamento di chi ragiona secondo gli uomini e affinché riprenda il cammino “dietro al Maestro”, cioè riprenda ad essere discepolo del Signore.
c. La storia insegna che quando la fede è guidata solo dal pensiero degli uomini sono nate delle cose orrende: violenza in nome di Dio; disprezzo della verità; mancanza di libertà; disuguaglianze e tante altre cose che la storia ci mostra sena reticenza per chi sa e vuole leggere le sue pagine.
d. Il discepolo per essere tale deve avere gli stessi pensieri e sentimenti di Cristo (“rinneghi se stesso”), ad avere la capacità di restare soli e incompresi a causa della scelta cristiana (“prenda la sua croce”) e a imitarLo senza riserve (“mi segua”).