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Santi a lume di naso

Il profumo dei santi e il puzzo del diavolo

Odore di santità, insieme con il suo opposto, odore di zolfo. E’ un’espressione che fa parte della tradizione non solo popolare cristiana. Sono modi di dire usati metaforicamente anche nel linguaggio comune e non si può quindi negare che si tratti di concetti di grande succcesso. Ancora oggi, seppure in tono ironico, in contesti molto lontani da quelli religiosi che, in fondo, queste cose le prendono ancora sul serio, si può sentir dire: "Qui io ci sento odore di zolfo", per segnalare il pericolo di un’inganno, oppure che il tale è "in odore di santità" per indicare una persona al di sopra di ogni sospetto.
Queste metafore partono da una convinzione comune, che l’olfatto sia il senso più adatto, il più sensibile a cogliere la natura spirituale di un fenomeno e soprattutto di una persona. E’ curioso che proprio al senso che più ci avvicina al mondo animale, e che gli animali hanno ben più sviluppato di noi umani, sia stato attribuito il compito così importante e così decisivo di valutare l’appartenenza di un essere umano alla categoria più apprezzata, oppure a quella più odiata.
All’olfatto viene attribuita una intimità col divino tale da operare il riconoscimento fondamentale nel giudicare la natura per definizione del soprannaturale.
Si tratta di una tradizione molto antica, già precedente al cristianesimo, che si allaccia a una concezione del sacro fondata sull’opposizione tra corpo e spirito, a un periodo in cui, per dirla con Cristina Campo, "era ancora sentita la meravigliosa sacralità della vita divina".
Il profumo che esala dai resti di un santo - che preferibilmente dovrebbero essere stati ritrovati incorrotti - sono stati per secoli considerati una prova incofutabile di santità, concreta e sensibile vittoria sulla morte, quindi di un corpo che già in vita era distaccato dal comune destino umano.
Si trattava di una prova miracolosa che poteva essere manipolata con una certa facilità. Per esempio, bruciando profumi nelle vicinanze oppure se subito dopo la morte il corpo era stato imbalsamato con profumi proprio perché considerato santo. Ma certo non si poteva considerare prova della vita morale del candidato alla canonizzazione quanto piuttosto dei suoi poteri magici.
Dopo il Concilio di Trento sono state stabilite delle regole per il proceso di beatificazione e di canonizzazione le cui fasi finali e decisive si svolgono a Roma. Prevedono la raccolta di testimonianze documentate circa le virtù evangeliche del candidato, l’esame sull’ortodossi della sua fede a cui si aggiunge la prova di almeno un miracolo, quasi sempre una guarigione.
Col tempo è prevalsa l’idea che la percezione sensoriale non può essere una prova sicura. Per conoscere il mondo bisogna ricorrere alla razionalità scientifica, mettendo da parte quelle teorie, scrive Chaterine.
Puzza di zolfo e profumo di fiori sono legati alla concezione dualistica dell’uomo fatto di corpo tenebra e di anima luce. Alla morte il corpo si corrompe e la decomposizione porta l’acre odore di zolfo. Elemento infiammabile per cui su certe sepolture nelle notti estive appaionoi fuochi fatui sui quali si sono raccontate tante storie paurose tirando in ballo le fiamme infernali e il satanasso. L’odore di santità è invece indefinito. Per alcuni santi è odor di primavera, per altri di rosa o di giglio. I santi che profumavano già da vivi, come Caterina da Siena la divina, come Filippo Neri, Simeone lo stilita, Giuseppe da Copertino, Antonio da Padova… Sono solo alcuni, i pià popolari uomini di Dio. Chi li ha incontrati attesta di aver sentito in essi il vero profumo di Cristo.
Non lo crederai ma può capitare anche a te di fiutarlo in qualche persona che incontri. Ne erano convinti i monaci che all’inizio della giornata si salutavano inchinandosi l’uno verso l’altro dicendo: "Ecce bonus odor Christi".

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