Quel lontano 8 settembre
Un confuso armistizio e si scatena la guerra civile
Alla radio stanno trasmettendo la canzone di Nella Colombo: "Oh mamma, mi ci vuole un fidanzato". Gli italiani non ne sentiranno mai la fine. Alle 19.12 della sera dell’8 settembre 1943, il solito annunciatore, Govanni Arista, interrompe le trasmissioni della sede della Eiar in via Asiago a Roma. E’ appena entrato Pietro Badoglio, Borsalino calato sulla testa pelata. La voce del Maresciallo annuncia con un marcato accento piemontese: "Il governo italiano, vista l’impossibilità di continuare l’impari lotta contro la sovverchiante forza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla nazione ha chiesto un armistizio al Generale (...). La richiesta è stata accolta. Conseguentemente ogni atto di ostilità contro le forze angloamercane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno davanti a eventuali attacchi da qualunque altra provenienza".
L’ultimo bollettino di guerra, il 121, lo ha firmato il generale Ambrosio. "Sul fronte calabro reparti italiani e germanici ritardano nei combattimenti locali l’avanzata delle truppe nemiche".
Non è ancora calata la notte che il lungo corteo di automobili, del Re, di Badoglio e di molti ministri è già al sicuro lungo la strada per Pescara. C’è modo e modo di fuggire.
Il mattino del 9 settembre sono tutti sul molo di Ortona, generali, ufficiali, Stato Maggiore, famiglie, attendenti e amanti. Tre navi devono trasportare tutti a Brindisi, al sicuro dietro le linee alleate dove aprirà i battenti il Regno del Sud. Badoglio e il Re si imbarcano sulla navetta "Baionetta", gli altri prendono posto sull’incrociatore "Scipione l’Africano" e sulla navetta "Scimitarra", dopo un assalto a calci, pugni e spintoni. Qualcuno si aggrappa alla catena dell’ancora per non restare a terra. C’è pure Mario Roatta, Capo di Stato Maggiore dell’esercito, che ha la responsabilità di milioni di soldati italiani allo sbando per mezza Europa.
Dalle città venete si segnala che "le strade di Venezia sono affollate di popolo che, commentando animatamente, si è portato verso Piazza San Marco che alle 21 pullulava di folla".
Il governo fugge senza aver mai governato e lasciando ordini confusi. E’ una disfatta, dobbiamo guardarci sia dal nemico che dall’ex alleato. Si salvi chi può. E’ il caos del "tutti a casa".
Ha scritto sull’8 settembre il saggista G. Pintor che morirà a 24 anni, ucciso da una mina: "I soldati che nel settembre scorso traversarono l’Italia affamati e seminudi volevano soprattutto tornare a casa e non sentire più parlare di guerra e di fatiche. Erano un popolo vinto ma portavano in sé la voglia di un’oscura ripresa".
Il gruppo di potere che sta attorno al Re per salvarsi ha scelto la soluzione più facile, ha sciolto le armate. C’è stato il ripudio dell’esercito. Chi resta non sa più che fare.
Ma i tedeschi non dormono, la sera stessa dell’armistizio dal Brennero scendono le autocolonne militari cominciano l’occupazione del Veneto. In cinque giorni occupano le principali città e fanno sventolare la svastica da ogni campanile.
Troviamo il resoconto dell’occupazione nel giornale di Padova: "Proveniente da Bologna una colonna di germanici ieri pomeriggio ha occupato la città. Numerosi carri armati sono affluiti dapprima in Prato della Valle, che veniva prontamente chiusa al traffico. In seguito le altre forze si dislocavano in periferia e alla stazione ferroviaria". Un solo caso di resistenza, a Vicenza. Un reparto di artiglieria resiste per tutta la giornata del 9 settembre e si arrende a condizione che "le armi fossero lasciate alla truppa".
A Venezia nella notte del 9 un comitato interpartitico lancia un manifesto: "Sta finalmente il popolo d’Italia a fianco dei suoi fratelli in un’anima sola". Comitati di Venezia e di Treviso cercano contatti con militari per un’azione di resistenza ma senza risultati.
Da Tarvisio scendono altre divisioni e occupano Udine, Trieste e Pola. Il Gazzettino del 12 settembre fa il punto: "L’occupazione che le forze tedesche vanno via via effettuando nelle varie città del Veneto non ha suscitato né sucita incidenti di sorta. La popolazione si mantiene calma, chiusa nel dolore delle giornate luttuose".
A Rovigo la vita civile continua come prima. Da Vicenza non giungono novità. A Trento viene esposta l’ordinanza del comandante delle truppe tedesche. A Udine le truppe hanno occupato la stazione ferroviaria e presidiano la linea per Tarvisio. A Trieste l’occupazione tedesca ha luogo in poche ore. Lo stesso avviene a Gorizia.
A Verona la mattina del 9 i carri armati Tigre impiegano quattro ore per occupare la città. I tedeschi hanno in mano le piante delle caserme e vanno a colpo sicuro. A Venezia una nave della X Mas della Marina militare proveniente da Trieste entra in bacino San Marco al comando di Ireneo Utimpergher. Le camicie nere sbarcano e si dirigono alla Casa del Littorio per riconquistarla, ma a metà strada deviano per occupare Il Gazzettino e Palazzo Facanon, tra Rialto e San Marco. Occupano il giornale, gettano le pagine di piombo già composte e impartiscono nuovi ordini. Diego Valeri che aveva diretto il giornale dopo il 25 luglio, deve scappare in Svizzera. Lo condannano in contumacia a 30 anni di carcere, uno per ogni giorno di direzione. Sui libri di lettura delle elementari ci sono ancora le sue poesie che ai nostri tempi si imparavano a memoria.
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