La grazia di ricominciare
E' urgente rievangelizzare i post cristiani
E’ possibile, dentro il mondo ampiamente scristianizzato in cui viviamo, cercare e trovare Cristo? Nel sovrapporsi di diverse fedi e di nessuna fede, nell’allargarsi di un consapevole nichilismo, nella lontananza indifferente di molti battezzati è ancora possibile a molti cristiani solo di nome incontrare Cristo?
E’ necessario rendersi conto che non ci sono più le parrocchie del passato in cui tutti venivano battezzati, poi facevano la prima comunione, quasi tutti andavano a messa e a catechismo, in famiglia si pregava assieme.
A metà del secolo scorso lo disse a chiare lettere l’arcivescovo mons J. Suhard: "In Francia ci sono tante chiese, splendide cattedrali che ci ricordano la fede del passato, ma oggi la Francia non è più cristiana. Dilaga l’ateismo pratico, siamo un paese di missione".
In una interessante pubblicazione delle Dehonian, Enzo Biemmi constata che nella società occidentale il dato cristiano è sbiadito e insignificante. Nelle nostre terre l’annuncio del Vangelo è risuonato nei primi tre secoli dopo Cristo, poi siamo vissuti solo di tradizioni e usanze per cui siamo cristiani per forza d’inerzia. Per dirla con Gesù, siamo una luce che non splende più, un sale insipido.
E allora ecco la proposta. La Chiesa si fa missionaria tra la gente del nostro tempo e dei nostri paesi. Si rivolge agli adulti che hanno avuto l’iniziazione cristiana da bambini e che in seguito si sono allontanati dalla pratica cristiana, per ricominciare un cammino di fede.
Una Chiesa in uscita è chiamata a incontrarli nelle situazioni reali di vita in cui si trovano, annunciando il Vangelo come vera novità che chiama a uscire dal tran tran, per rivedere il quadro dei valori e riprogettare i propri programmi, per darsi uno stile di vita veramente fondato su fede e carità.
Finora abbiamo investito molto nella catechesi ai bambini. I risultati sono quelli che vediamo. Anche gli adulti devono essere di nuovo evangelizzati e poi accompagnati con paziente discernimento in percorsi, sulle orme di Cristo.
A questo proposito, Avvenire ha publicato una illuminante intervista di Andrea Tornielli a Julien Carron, rappresentante di Comunione e Liberazione, il quale afferma che è ora di annunciare la novità del Vangelo alla gente d’oggi. Come insegna don Giussani, bisogna farlo con realismo e con speranza. Con realismo: prendendo onestamente atto della realtà. E con speranza: perché Dio non ci lascia soli. Se pensiamo, osserva J, Carron, il mondo oggi non è peggiore da quello in cui venne Gesù, quando gli stessi ebrei erano divisi fra farisei, zeli, esseni ed altre correnti e avanzava l’impero romano col suo Pantheon di divinità. Nel multiculturalismo insomma il cristianesimo è nato e quella attuale è l’occasione buona perché risalti la radicalità dell’annuncio di Cristo.
Siamo quindi molto lontani da un certo tradizionalismo che rimpiange i tempi passati. Dalle risposte di Carron esce un impegno missionario fiducioso, fondato su una fede viva e su una fede che ogni giorno ricominci. In che modo? La domanda è l’asse portante della proposta del Carron che parte dalla Dei Verbum del Concilio e passa per Benedetto XVI che nel 2013 disse che oggi la fede molto difficilmente potrà essere annunciata con discorsi e richiami. E’ sopratutto l’incontro con persone credenti che attraverso il loro vissuto concreto che il Vangelo interpella e affascina anche l’uomo d’oggi.
Come ripete Papa Francesco: "Il cristianesimo non fa proselitismo ma attrae, non ha bisogno di niente oltre alla bellezza esigente della sua nuda verità. E’ questa la bella notizia per l’uomo del nostro tempo in ricerca. Il nome della bella notizia è misericordia che incontra il nostro senso di incompiutezza, la ferita del nostro cuore sempre inappagato ma sempre orientato a qualcosa o, per meglio dire, a Qualcuno per cui è fatto".
E’ Cristo la rivelazione dell’amore paterno di Dio e la Chiesa chiamata ad annunciarlo testimoniandolo a ogni uomo che vive sotto il cielo.
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