Il compleanno della Repubblica
Il 2 giugno è festa nazionale. Alla fine della guerra l’Italia voltò pagina. Il 4 giugno 1944, con l’ingresso delle truppe alleate, Roma fu liberata. Vittorio Emanuele III ultimo re dei Savoia, nominò il figlio Umberto II luogotenente del Regno. Nel frattempo si era formato il Fronte di Unità Nazionale che stabilì di indire un referendum a suffragio universale (per la prima volta votarono anche le donne) per decider la forma istituzionale dell’Italia finalmente libera.
Il 2 giugno è festa nazionale. Alla fine della guerra l’Italia voltò pagina. Il 4 giugno 1944, con l’ingresso delle truppe alleate, Roma fu liberata. Vittorio Emanuele III ultimo re dei Savoia, nominò il figlio Umberto II luogotenente del Regno. Nel frattempo si era formato il Fronte di Unità Nazionale che stabilì di indire un referendum a suffragio universale (per la prima volta votarono anche le donne) per decider la forma istituzionale dell’Italia finalmente libera.
Il Paese era prostrato dalla guerra appena terminata, allo stremo. La produzione agricola risultava dimezzata rispetto al 1938, quella industriale era scesa a meno di un terzo. Ben pochi servizi pubblici continuavano a funzionare, le strade e le ferrovie erano interrotte in più punti. Ovunque si incontravano cumuli di macerie. Per oltre un terzo le abitazioni erano distrutte o sinistrate. Di tanti edifici pubblici non restavano che i ruderi, tanti stabilimenti erano stati sventrati dai bombardamenti.
Il Paese era stato lacerato soprattutto dagli ultimi terribili mesi con le contrapposizioni fra partigiani e repubblichini, i rastrellamenti, gli agguati, le delazioni, le impiccagioni e le fucilazioni. Il futuro si preannunciava incerto e minaccioso.
Poi avvenne qualcosa che ricordiamo ogni anno, il 2 giugno: il primo referendum istituzionale per stabilire la forma da dare allo Stato. Vinsero i repubblicani con il 54,3 per cento. Il 13 giugno l’ultimo re dei Savoia lasciava il territorio italiano e andava in esilio in Portogallo.
Il 25 giugno 1946 è una data memorabile nella storia dell’Italia, in quel giorno d’estate si riunì per la prima volta l’Assemblea votata da milioni di italiani per dare una Costituzione alla neonata Repubblica. Capo provvisorio dello Stato fu nominato l’avvocato napoletano Enrico De Nicola e si formò un governo provvisorio guidato da Ferruccio Parri. I lavori dell’assemblea costituente iniziarono il 25 giugno 1946. Fu un grande evento di democrazia, emozionante, come disse l’onorevole Vittorio Foa: "Nella grande sala di Montecitorio, sotto il grande lucernario, si incontrarono per la prima gli eletti, provenienti da ogni parte d’Italia. I capi storici della Resistenza, alcuni appena usciti dal carcere o rientrati dal confino, con grandi figure come Nenni, Togliatti, De Gasperi, Benedetto Croce, figure straordinarie nel panorama culturale".
Aprì i lavori il decano, il grande giurista Orlando che iniziò affermando che i convenuti rappresentavano tutta intera la Patria e avevano tre imperativi: unione, pacificazione e mettere le basi per un futuro di democrazia e di libertà.
Sin dall’inizio si formarono i partiti, piccoli e grandi. In democrazia contano i numeri, chi ha più voti ha maggiore peso politico. La Democrazia cristiana, con il 37,8 per cento aveva 379 seggi, seguita dal Partito socialista con 195 seggi e dal Partito comunista. I lavori terminarono alla fine del 1947 e con il primo gennaio del 48 la Costuzione enrò in vigore."L’Italia non ha smesso di essere Italia e noi siamo chiamati a rappresentare il sogno e l’impegno di tutti gli italiani", furono le parole conclusive del Presidemte.
Il 18 aprile di quell’anno si svolsero le prime votazioni politiche regolate dalla nuova Costituzione. L’esito vide vincitore il partito della Dc. Capo del governo dal 1946 al 1953 fu Alcide De Gasperi In seguito si susseguirono altri 64 governi di centro, di centro destra, monocolori e di centro sinistra.
Con il primo governo iniziò anche l’opera di ricostruzione e di industrializzazione resa possibile anche dagli aiuti americani del piano Marshal, così chiamati dal nome del vicepresidente degli Usa che propose un piano per favorire la riresa economica ed industriale dei paesi sconfitti: Giappone, Germania e Italia. Il nostro Paese fece un buon uso degli aiuti con la nascita di grandi aziende metalmeccaniche, quella automonobilistica a Torino e quella degli elettrodomestici a Pordenone.
Il lettore che vuol farsi un’idea di quanto siamo cambiati basta che riveda le foto in bianco e nero. Pordenone consisteva nel Corso con i palazzi dei vecchi signori e i modesti negozi e botteghe dei sottoportici. Rorai, Porcia e Cordenons, Borgomeduna, Le Grazie erano aperta campagna. In pochi anni crebbero le periferie con fabbriche e insediamenti popolari. Con gente che veniva dai campi e dai monti. In pochi anni la città sul Noncello raggiunse i centomila abitanti e nel 60 la destra Tagliamento divenne provincia.
L’Italia cambiò volto. L’Italia dei mezzadri che campavano a fagioli e polenta andò in fabbrica.
Attorno ai vecchi centri storici, come si vede a Pordenone, crebbero le periferie delle fabbriche e dei condomini popolari. Nei primi settant’anni di questa nostra repubblica si sono alternati presidenti della repubblica, governi di varia ispirazione e compromessi. E la storia continua perché gli italiani nel dopoguerra stanno tutt’ora cambiando.
Ciò che unì gli italiani oltre sessant’anni fa, anche se militavano su fronti diversi, fu una grande voglia di democrazia e un grande sogno di un’Italia libera e operosa. Lo dice un grande regista, Bernardo Bertolucci, con il suo capolavoro cinematografico, Novecento, un grande affresco dei primi decenni del secolo scorso. "Allora - scrive - noi giovani eravamo tutti un po’ idealisti. In quei tempi di grandi speranze ogni sera andavamo a dormire pensando che al mattino sarebbe iniziato il futuro sognato in un Paese finalmente libero e in pace.
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