Gesù, il pastore ideale, dona la propria vita ai suoi discepoli
Gesù, il Risorto, è vivo ed opera: "Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul seno e conduce pian piano le pecore madri" (Is 40,10-11).
Gv 10,11-18
In quel tempo, Gesù disse: "Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario - che non è pastore e al quale le pecore non appartengono - vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto; anche queste io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando ho ricevuto dal Padre mio".
Tematica liturgica
Per tre domeniche la Liturgia ha proposto all’assemblea celebrante dei brani evangelici dove il Risorto offre ai suoi discepoli le prove della sua risurrezione. Nella prima domenica Pietro e il discepolo che Gesù amava vedono le bende afflosciate nel sepolcro. Nella seconda, Tommaso viene invitato da Gesù a mettere il dito e la mano nelle ferite. Nella terza, Gesù mangia del pesce per dimostrare che non è un fantasma. Con questa domenica inizia, invece, un breve ciclo in cui Gesù sottolinea il rapporto personale che intercorre tra lui e i suoi discepoli.
Gesù, il Risorto, è vivo ed opera: come dice la prima lettura (At 4,8-12) opera la guarigione dello storpio alla porta bella del tempio per mezzo di Pietro (cfr At 3,6: "Pietro gli disse: "Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina!"") e opera, come pastore, nei confronti dei suoi discepoli di tutti i tempi e di tutti i luoghi (Gv 10,11-18). L’immagine del pastore era già stata scelta dai profeti per parlare di Yhwh e della sua paziente opera di salvezza nei confronti del suo popolo Israele. Il profeta anonimo, che gli specialisti chiamano, Deutero-Isaia, presenta Dio come liberatore degli ebrei dalla schiavitù babilonese e lo annuncia così: "Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul seno e conduce pian piano le pecore madri" (Is 40,10-11). Anche Geremia era ricorso, prima dell’esilio, all’immagine del pastore per indicare Dio e la sua azione salvifica che si sarebbe concretizzata nel ritorno degli esuli da Babilonia,: "Chi ha disperso Israele lo raduna e lo custodisce come fa un pastore con il gregge". Il profeta Ezechiele, quasi contemporaneo al deutero-Isaia, toccando l’argomento del ritorno, profetizza così: "Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Oracolo del Signore Dio. Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita; fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia" (Ez 34,15-16).
L’immagine forte del buon pastore o pastore vero, scelta da Gesù e ripetuta tre volte nel testo (Gv 10,11.14), è strettamente legata al tema "dare la vita (Gv 10,11.15.17.18). Il dono della vita è per tutte le pecore, per quelle attualmente appartenenti al gregge del buon pastore e per quelle, che pur non essendo ancora di questo ovile, vi prenderanno parte. Questa similitudine non viene compresa (Gv 10,6: "Questa similitudine disse loro Gesù; ma essi non capirono che cosa significava ciò che diceva loro"). Gesù ne dà la spiegazione in due momenti. Prima identifica se stesso con la porta dell’ovile (Gv 10, 7-10), poi identifica se stesso con il buon pastore (Gv 10, 11-18). Quest’ultimo è il brano scelto dalla Liturgia come vangelo (Gv 10,11-18).
Dimensione letteraria
Il testo evangelico sul buon pastore è molto ampio: Gv 10,1-18. La Liturgia, in questa domenica, toglie sia la paroimìa-similitudine (Gv 10,1-16) sia la spiegazione di Gesù-porta (Gv 10,7-10) e aggiunge l’incipit "In quel tempo Gesù disse". In Gv 10,11-18 si legge la ripetizione dell’espressione "io sono il buon pastore" nei vv. 11(2x).14. Questo elemento suddivide la pericope in due brani: nel primo (Gv 10, 11-13) si trova l’antitesi tra il pastore e i mercenari; nel secondo (Gv 10, 14-18), il rapporto tra il pastore e le pecore. In quest’ultimo brano è ulteriormente diviso: in Gv 10,14-16 viene presentato il tema pastore-pecore e in Gv 10,17-18 viene ripreso il tema del dono della vita
Riflessione biblico-liturgica
a. Il buon pastore è caratterizzato dal dono della vita per le sue pecore. Il mercenario è caratterizzato dall’abbandono delle pecore e dal fatto che le pecore non gli importano. La presentazione per antitesi permette di capir meglio la figura del pastore buono e del suo dono della vita.
b. Gi studiosi dicono che questo disinteresse del mercenario si può scorgere sia nei farisei (disprezzano la gente perché ignorante : Gv 7,49; la espellono dalla sinagoga: Gv 9,22.34), sia nei capi politici (pensano al loro potere: cfr Gv 11,48), sia in Giuda (quale "non importava niente dei poveri" - è la stessa espressione di Gv 10,13 - , era ladro e cercava il proprio vantaggio: cfr Gv 12,6). Con il buon pastore, invece, le pecore fanno l’esperienza di essere amate fino al dono della vita del pastore stesso: "Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici".
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