Domenica 4 luglio, commento di don Renato De Zan
"Non è costui il falegname, il figlio di Maria?" così è stato accolto Gesù in sinagoga...
04.07.2021. 14° domenica del T.O. - B
Mc 6,1-6
In quel tempo, Gesù 1 venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. 2 Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? 3 Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo. 4 Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». 5 E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. 6 E si meravigliava della loro incredulità. Gesù percorreva i villaggi d'intorno, insegnando.
Tematica liturgica
1. All’inizio del suo apostolato, il profeta Ezechiele sa già che esperimenterà il rifiuto e l’incomprensione (prima lettura, Ez 2,2-5). Dio lo avverte in modo amichevole, ma contemporaneamente chiaro e duro: “Essi e i loro padri si sono sollevati contro di me fino ad oggi”. È chiaro: non ascolteranno il profeta di Dio, ma se il profeta parla loro “sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro”. Non c’è, dunque, da meravigliarsi se Gesù ha subito la stessa sorte dei profeti (vangelo, Mc 6,1-6).
2. Il rifiuto di Nazaret è un avvenimento penoso del ministero galilaico. Gesù non è accolto per ciò che è, ma è valutato secondo i piccoli criteri manifestati dalle domande dei suoi compaesani. L’episodio del rifiuto è mitigato dallo stupore dei compaesani per la sua sapienza e per i suoi prodigi (v. 2) e dagli episodi di guarigione operati per l’imposizione delle mani (v. 5). Il rifiuto tuttavia permane.
3. L’atteggiamento degli abitanti di Nazaret sottintende una precomprensione del Maestro poco lusinghiera. Correva voce che egli fosse “fuori di sé” (Mc 3,21) e che le “caratteristiche” di Gesù non venissero da Dio, ma da Beelzebul (Mc 3,22). Gesù non viene, dunque, riconosciuto come rabbino, ma come un semplice “artigiano” (“tékton”). Tutti pensano di conoscerlo perché conoscono la sua parentela e poiché conoscono i legami parentali, Gesù non può essere il Messia (di cui non si sarebbe conosciuta la parentela).
4. La risposta di Gesù, condensata nella meraviglia e nel proverbio, indica che la sua missione è segnata dalla solitudine ed è paragonata a quella dei profeti. Dietro a quel semplice proverbio già si intravede la fine drammatica del Signore.
Dimensione letteraria
1. Il testo di Mc 3,7-6,6a costituisce un ciclo teologico-letterario in cui l’evangelista presenta Gesù che predica e opera miracoli, ma purtroppo non è né capito né accolto dalla gente. Il testo evangelico di Mc 6,1-6 costituisce la chiusura di tale ciclo.
2. Il testo biblico originale del vangelo dice: “Partì di là e venne nella sua patria...”. Questa specificazione del “luogo” (“Partito di là....”) ha una duplice ruolo. Da una parte associa l’episodio di Nazaret (Mc 6,1-6) ai due miracoli compiuti da Gesù a Cafarnao: la guarigione dell’emorroissa (Mc 5,25-34) e la resurrezione della figlia di Giàiro (Mc 5,21-24.35-43). Dall’altra, prepara la meraviglia dei Nazaretani di fronte al loro compaesano (= sapevano dei miracoli).
3. Il Lezionario sopprime l’espressione (“Partiti di là e…”) e fa iniziare il testo in modo classico: “In quel tempo, Gesù”. Il legame con ciò che precede cessa. Sotto il profilo interpretativo la variante liturgica produce la concentrazione dell’attenzione sul rifiuto fatto dai Nazaretani nei confronti di Gesù.
4. A livello letterario il testo di Mc 6,1-6 si può suddividere in quattro brevi pericopi: la descrizione della scena del rifiuto (vv. 1-2a), la reazione della gente (vv. 2b-3), la reazione di Gesù (vv. 4-6a) e il breve sommario (6b).
Riflessione biblico-liturgica
1. “Fratelli e sorelle” di Gesù? Il Vangelo di Pietro e il Protovangelo di Giacomo (metà del sec. II d.C.) dicono che i “fratelli” di Gesù sono i figli di Giuseppe avuti dal precedente matrimonio. Elvidio (sec. IV d.C.) pensava che i fratelli di Gesù fossero figli di Maria. S. Girolamo pubblicò un’opera intitolata “La perpetua verginità di Maria. Contro Elvidio”. Girolamo, rifiutava la tesi di Elvidio e quella dei “fratellastri”. Proponeva la tesi dei “cugini”. Così hanno pensato i Padri latini e, successivamente, Tommaso d’Aquino e Lutero (che chiamò Elvidio “un pazzo villano”).
2. Nella lingua ebraica il vocabolario della parentela è povero: padre (’ab), madre (’em), fratello (’ach), sorella (’achôt), zio paterno (dôd). In aramaico si può aggiungere la zia (dôdâ). Per gli altri parenti venivano usate circonlocuzioni: il figlio dello zio paterno era “il figlio del fratello di mio padre” ecc. Più sbrigativamente per ogni grado di parentela si adoperava la parola “fratello”. Abramo, infatti, chiama “fratello” suo nipote Lot, figlio del fratello di Abramo (Gen 13,8; 14,14.16). Ricordiamo che molto dei vangeli è stato tradotto alla lettera dalla lingua semitica. L’uso di “cugino” (Col 4,10) in Paolo è uso “greco” e non semitico.
3. In Mc 6,3 Ioses sarebbe “fratello” di Gesù. In Mc 15,40 Ioses risulta essere figlio di Maria (Mc 15,40), che non è la Madre di Gesù, ma è l’ “altra Maria” (Mt 27,61 e Mt 28,1).
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