Domenica 31 ottobre, commento di Don Renato De Zan
L’amore cristiano: imitazione di Cristo e armonia tra sé, il prossimo e Dio
Mc 12,28-34
In quel tempo, 28 si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?». 29 Gesù rispose: «Il primo è: Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l'unico Signore; 30 amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. 31 Il secondo è questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Non c'è altro comandamento più grande di questi». 32 Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all'infuori di lui; 33 amarlo con tutto il cuore, con tutta l'intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici». 34 Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.
Tematica liturgica
1. Amare è un verbo che vuole manifestare la ricchissima e complessa realtà presente nella persona, sia quando è destinataria dell’amore sia quando ne è soggetto. Questa realtà così grande è, però, sottoposta a condizionamenti di vario genere quando viene confusa con la passione, mescolata all’egoismo, strumentalizzata per ottenere altri fini che non siano il bene della persona amata. Quando Gesù propone l’amore (in greco, “agàpe”) come comandamento supremo del cristiano pone delle caratteristiche che non permetteranno mai all’amore cristiano di essere equivocato.
2. La prima caratteristica è centrata sul fatto che l’amore cristiano non va confuso con un sentimento. Il Maestro, infatti, ha detto con chiarezza: “Ma a voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male” (Lc 6,27-28). Di fronte a queste parole è chiaro che l’amore cristiano non va confuso con un sentimento. Nessuno ha sentimenti di amore per i propri nemici. Ma allora di che amore si tratta?
3. La risposta si trova nell’altra caratteristica dell’amore cristiano. L’amore cristiano va vissuto come Gesù stesso lo ha vissuto. Nell’ultima cena Gesù detta ai suoi apostoli la regola suprema dell’amore: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34). Gesù, dunque, è un Maestro profondamente saggio: non dà concetti ma offre l’esempio con il quale non ci sono vie di fuga per interpretazioni di convenienza.
4. La terza caratteristica dell’amore cristiano è ancora una cosa semplice. Dentro alla persona non ci sono “vari centri” che amano. C’è un centro solo che ama Dio, il prossimo e se stessi. Non si può amare Dio, se non si ama il prossimo e se stessi. Non si può amare se stessi senza amare Dio e il prossimo. L’amore che ha come destinatari Dio, il prossimo e se stessi non è mai “squilibrato”. L’amore verso se stessi non può diventare egoismo perché si accompagna all’amore di Dio e del prossimo. Così l’amore del prossimo non può diventare alienazione o pura filantropia perché c’è insieme l’amore di sé e di Dio. L’amore di Dio non può diventare un pseudo-misticismo, perché si accompagna all’amore del prossimo e di sé.
Dimensione letteraria
Le parole iniziali del vangelo sono: “Allora si avvicinò a lui uno degli scribi che li aveva uditi discutere e, visto come aveva ben risposto a loro, gli domandò…”. La Liturgia ha soppresso alcuni elementi e ne ha aggiunti altri: “In quel tempo, si accostò a Gesù uno degli scribi e gli domandò…”. Nel primo testo lo scriba si avvicina a Gesù, ben consapevole di trovarsi di fronte a un interprete autorevole delle Scritture perché aveva zittito i sadducei sul tema della risurrezione. Nel secondo testo, lo scriba desidera semplicemente conoscere da un Maestro il parere su un problema. Il testo è suddivisibile in due momenti: prima lo scriba chiede e Gesù risponde (Mc 12,18-31), successivamente lo scriba commenta e Gesù conclude (Mc 12,32-34).
Riflessione biblico-liturgica
1. Al tempo di Gesù, i rabbini ritenevano che il comandamento più grande fosse l’amore verso Dio. In Dt 6,2-6 (prima lettura) si dice chiaramente: “Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze”. L’amore verso il prossimo (ebrei verso gli ebrei: Lv 19,18; ebrei verso stranieri che vivevano insieme agli ebrei: Lc 19,24) non era molto caldeggiato perché c’era il dominio romano - i romani erano stranieri che vivevano presso gli ebrei, ma erano “nemici” e “oppressori” - e molti ebrei erano collaborazionisti (cf i pubblicani).
2. L’amore cristiano non è solo rapporto e legame, ma è anche atto di culto. Il commento dello scriba è inequivocabile: amare Dio “con tutto il cuore, con tutta l'intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici”. Con Gesù l’atto di culto non abita più solo nel luogo sacro, ma anche fuori, nella vita quotidiana.
3. L’amore cristiano, infine, completa la sua fisionomia cultica con le parole attribuite a Pietro: “Soprattutto conservate tra voi una carità (agàpe) fervente, perché la carità copre una moltitudine di peccati” (1Pt 4,8). La pratica dell’amore cristiano è una forma di perdono che Gesù ha donato alla sua Chiesa e che spesso viene dimenticata dai cristiani.
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