Domenica 24 marzo, commento di don Renato De Zan
La morte di Gesù: un compimento e un’apertura verso l’infinito
Mc 14,1-15,47 (per scene)
Complotto contro Gesù, l’unzione di Betania, tradimento di Giuda, preparativi per il pasto pasquale, il pasto pasquale: annuncio del tradimento di Giuda, istituzione dell’eucaristia, predizione del rinnegamento di Pietro, agonia del Getsemani: preghiera al Padre e ricerca degli amici addormentati, arresto di Gesù, Gesù processato dal Sinedrio, rinnegamento di Pietro, Gesù processato da Pilato: Barabba preferito a Gesù che viene flagellato, la corona di spine, la via della croce, la crocifissione sul Golgota: la divisione delle vesti, Gesù deriso e oltraggiato, la morte di Gesù e la confessione di fede del centurione, le pie donne sul Calvario, la sepoltura.
La morte di Gesù: un compimento e un’apertura verso l’infinito
Il Testo
1. La formula evangelica e la pericope biblica coincidono perfettamente. Il testo può essere scandito in quattro grandi tappe. La prima può essere chiamata “avvenimenti prima della passione” (Mc 14,1-31): dal complotto contro Gesù fino alla predizione del tradimento di Pietro, fatta da Gesù nell’ultima cena. Segue la seconda tappa che può essere chiamata semplicemente “la passione” (Mc 14,32-15,27): questa parte del racconto inizia con l’agonia del Getsemani, prosegue con i due processi, quello al Sinedrio e quello di Pilato, e culmina con la via della croce. La terza tappa è relativamente breve (Mc 15,28-41) perché narra gli insulti subiti da Gesù prima della sua morte, la morte, e ciò che accadde subito dopo. Infine, chiude il racconto la quarta tappa (Mc 15,42-47), ancora più breve della precedente: Giuseppe d’Arimatea, chiesto e ottenuto il corpo di Gesù, lo avvolge in un lenzuolo e lo depone nel sepolcro, mentre le donne che hanno visto morire il Maestro osservano dove il corpo viene deposto.
2. Apparentemente il racconto sembra scivolare senza intoppi, ma ad una lettura attenta ci si accorge che la narrazione ha diverse cicatrici letterarie. Nel testo di Mc 14,22-25 (parole sul pane e sul vino, nell’ultima cena) c’è una vistosa incongruenza: “Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell'alleanza, che è versato per molti” (vv. 23-24). Stando al testo sembra che Gesù consacri il vino in pancia ai discepoli. è ovvio che il racconto arcaico non conteneva le parole della consacrazione, che vennero aggiunte dopo: in modo opportuno quelle sul pane, meno felice quelle sul calice. Anche il racconto delle tre negazioni di Pietro (Mc 14,66-72) contiene una incongruenza. Dopo la prima negazione (Mc 14,68) il testo dice: “Poi uscì fuori verso l’ingresso…”. Il racconto, però custodisce altri due rinnegamenti. La redazione, dunque, nasconde un “Marco-primitivo”, molto ritoccato nella prima parte (Mc 14,1-42), un po’ meno nella seconda (Mc 14,43-15,57) per ragioni narrative e teologiche.
L’Esegesi
1. Gesù ha piena consapevolezza di ciò che lo aspetta e lo sceglie liberamente. La sua morte, dunque, non è giunta come un qualche cosa di non previsto. Questo tratto si può cogliere nell’unzione di Betania, nell’ultima cena, nell’annuncio del tradimento di Giuda e di Pietro e nelle sue parole nel Getsemani. Da contrappunto negativo troviamo il comportamento dei discepoli. Per ogni atteggiamento sbagliato dei discepoli, però, c’è sempre una proposta di riscatto. Gesù, in maniera esplicita o implicita, continua ad associarli a sé.
2. In Mc 15,24-37 viene narrata la morte di Gesù e le ore che la precedono. Il racconto ci dice che alle nove del mattino Gesù è crocifisso. Seguono sei versetti dove vengono presentati gli insulti di cui Gesù è stato fatto oggetto. Un versetto solo per coprire le ultime tre ore di agonia (da mezzogiorno alle tre) e dire soltanto che si era fatto buio. I quattro versetti successivi servono a presentare il grido di Gesù (“Dio mio, Dio mio….”) e la sua morte. Prestando attenzione al tempo narrato (fatti) e al tempo narrante (versetti), l’evangelista non vuole evidenziare le sofferenze fisiche di Gesù (sulle quali c’è un silenzio inquietante), ma intende metter in risalto le sofferenze interiori (l’incomprensione, il disprezzo e la beffa) per ciò che stava vivendo. Stava redimendo l’uomo e l’uomo lo insultava in tutti i modi.
3. Ciò che succede subito dopo la morte prende un aspetto grandioso. Il velo del tempio “si squarciò”. Il verbo greco (“schìzo”) viene adoperato da Marco in Mc 1,10 per indicare l’apertura dei cieli al battesimo di Gesù. Due episodi in cui non ci sono più ostacoli - né il cielo né il velo del tempio - perché l’uomo senta Dio lontano e inaccessibile: Dio si è fatto vicinissimo all’uomo in Gesù e nel suo mistero della croce.
Il Contesto Liturgico
1. In questa domenica il contesto liturgico è molto ricco. La prima lettura è costituita da un’ampia parte del terzo carme del Servo di Yhwh (Is 50,4-7), chiamato da Dio a portare sulle spalle i peccati di tutti gli uomini (passati, presenti e futuri) e a espiare per loro. Gesù più volte si è identificato con il Servo di Yhwh. La seconda lettura è costituita dal bellissimo inno cristologico di Fil 2,6-11. Si tratta di una sintesi felicissima del mistero di Gesù: non considerò un “tesoro indivisibile” (“arpagmòn”) il suo essere come Dio e perciò è diventato uomo per condividere la sua vita divina con gli uomini. Il suo “svuotamento” (kènosis) lo ha portato a una totale obbedienza a Dio (all’opposto di Adamo) fino alla morte di croce. L’inno obbliga l’assemblea a contemplare la morte di Gesù assolutamente associata alla sua risurrezione e glorificazione (“Per questo Dio lo esaltò…e gli donò un nome….Signore”).
2. La Colletta è un capolavoro teologico. Intende, infatti, guidare alla contemplazione della morte in croce di Gesù non per piangere emozionalmente sulle sue sofferenze, ma perché la passione e la morte del Maestro siano vissute dal credente come “modello” (si veda l’amplificazione) e come “grande insegnamento” (si veda la petizione). Al Getsemani Gesù resta solo e solo vive la sua totale obbedienza al Padre. Gesù resta in silenzio nei confronti di chi non vuole o non sa capire il mistero della dimensione spirituale. Con la sua ultima disperata preghiera (“Dio mio, Dio mio…”), Gesù manifesta il massimo del dolore quando l’uomo sofferente si sente abbandonato da Dio, ma contemporaneamente, citando l’inizio del Sal 22 - tipico modo di citare l’intero salmo da parte di un rabbino - , intende annunciare la sua prossima risurrezione nel momento del morire.
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