Domenica 22 settembre, commento di don Renato De Zan
"Nessuno può servire due padroni:perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza".
In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli: "Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi…L’amministratore disse tra sé: "Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione?…Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: "Tu quanto devi al mio padrone?". Quello rispose: "Cento barili d’olio". Gli disse: "Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta"… Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne. Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti…Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza".
I due temi dominanti nel testo evangelico (Lc 16,1-13) sono il miracolismo e l’egoismo nelle ricchezze. Per alcuni cristiani, ammalati di miracolismo, Dio deve intervenire in ogni momento difficile della vita per cambiare la realtà. S. Tommaso aveva detto: la Causa prima non interviene lì dove possono intervenire le cause seconde. In altre parole, prima di chiedere a Dio che intervenga, bisogna vedere se l’uomo può fare qualche cosa per risolvere la difficoltà. Diversamente, Dio approverebbe la pigrizia dei credenti. Certamente il credente prega Dio nelle difficoltà per essere illuminato sul che cosa fare, ma non per sottrarsi alla fatica del pensare e dell’agire. Solo dopo che l’uomo ha attivato tutte le sue capacità, è corretto pregare Dio perché Egli intervenga.
Per la Liturgia è più importante il secondo tema: l’egoismo nelle ricchezze. La Colletta propria, nella seconda petizione, chiede a Dio: "Salvaci dalla cupidigia delle ricchezze..". Perché una preghiera di questo tipo? La vita pone l’uomo di fronte a una scelta. Da una parte c’è la mentalità di questo mondo che propone all’uomo come beni supremi il potere, la ricchezza, l’onore, la gloria in questa vita. Di conseguenza, da parte dell’uomo i beni di questo mondo possono essere innalzati a divinità. Dall’altra parte, c’è il vero Dio che, diversamente, proporne la sua paternità, la gestione della vita imperniata sulla verità, la giustizia, l’amore, la condivisione, il perdono, la risurrezione personale, la salvezza eterna, la gioia senza fine. Le due realtà, la ricchezza e Dio, generano due mentalità. Dietro a ogni realtà c’è un modo di vedere la vita, i valori e i rapporti (con sé e con gli altri). Le due mentalità sono inconciliabili. Gesù lo dice senza ripensamenti o mezze misure: "Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza". Per questo la comunità cristiana invoca il Padre e chiede di essere salvata dalla mentalità di questo mondo per poter alzare "al cielo mani libere e pure" e rendergli gloria con tutta la propria vita.
Dimensione letteraria
Il testo evangelico breve (Lc 16,10-13) è impoverito della cornice escatologica (Lc 16,9) e potrebbe correre il rischio di essere colto come un testo moralistico, (che di fatto proprio non è). È da preferire il testo evangelico lungo (Lc 16,1-13). Letterariamente il testo si articola in due unità e la divisione è data dall’espressione "Ebbene, io vi dico" che separa la parabola dell’amministratore disonesto (Lc 16,1-8) dalla riflessione sapienziale sul buon uso delle ricchezze (Lc 1,9-13). La Liturgia ha voluto mettere insieme i due testi in modo che il tema dell’accortezza fosse coniugato con il tema della scelta sapiente ("pensare secondo Dio"): le ricchezze che il cristiano possiede in modo "corretto / non-disonesto" non vanno gestite come puro possesso, ma come realtà da condividere.
Tra testo biblico e testo biblico-liturgico non c’è differenza tranne che per il classico incipit liturgico "In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli…".
Riflessione biblico-liturgica
a. Il quadro sociale che ci viene dato dal brano profetico di Am 8,4-7 è sconcertante. Siamo nel Regno del Nord, nel sec. VIII a.C. I mercanti di grano imbrogliano e derubano gli indigenti, falsificando i pesi e vendendo lo scarto del grano. Dio condanna senza appello questi comportamenti dettati dalla logica del denaro. E oggi? Non c’è molto da stare allegri. Basta confrontare emolumenti astronomici da una parte con paghe e pensioni ridottissime, dall’altra.
b. Di fronte alle difficoltà bisogna saper reagire. Senza ombra di dubbio, l’amministratore della parabola era ed è "disonesto". Gesù non lo loda per questo, ma lo loda per la sua capacità di reagire. Una fede sbagliata (miracolismo) rende pigri. Una fede corretta, no. Lungo la storia, infatti, dall’Impero romano ad oggi, la comunità cristiana ha sempre sopravanzato la struttura civile in tutto ciò che riguarda il bene della persona-cittadino (cura dei malati, degli anziani, degli orfani, l’attenzione per la cultura, l’arte, le scuole, ecc.).
c. Il cristiano ha due soli principi nel rapporto con le ricchezze: guadagnarle onestamente e condividerle con saggezza.
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