Domenica 22 marzo, commento di don Renato De Zan
La quarta domenica di Avvento propone l'episodio del cieoc nato e la miracolosa doppia guarigione di Gesù: la vista e la fede
Gv 9,1-41 (forma riassunta)
In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco e i suoi discepoli lo interrogarono: "Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?". Rispose Gesù: "Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: "Và a lavarti nella piscina di Sìloe", che significa "Inviato". Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Allora i vicini gli chiesero: "In che modo ti sono stati aperti gli occhi?". Egli rispose: "L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, me l’ha spalmato sugli occhi e mi ha detto: "Va’ a Sìloe e lavati!" Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista". Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e avesse acquistato la vista. I suoi genitori avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: "Ha l’età, chiedetelo a lui!". Rispose loro quell’uomo: " Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla". Lo cacciarono fuori. Gesù seppe. Quando lo trovò, gli disse: "Tu, credi nel Figlio dell’uomo?". Egli rispose: "E chi è, Signore, perché io creda in lui?". Gli disse Gesù: "Lo hai visto: è colui che parla con te ". Ed egli disse: "Io credo, Signore!".
Tematica liturgica
L’episodio narrato da Gv 9,1-41 ha differenti significati secondo la diversità di indagine che il lettore desidera compire. La lettura immediata del brano narra un miracolo su un cieco che riacquista la vista. Una lettura fatta, invece, con interesse storico critico (a livello di redazione del testo) coglie il valore apologetico del brano. Una lettura più attenta al valore simbolico-teologico vede nell’episodio un chiaro riferimento alla confessione di fede battesimale.
Per i contemporanei di Gesù il miracolo era un "messaggio plastico" espresso con il fatto e non con la parola. Il cieco era ritenuto un castigato da Dio (il che è negato perentoriamente da Gesù). La guarigione era segno di perdono. Il cieco, inoltre, non poteva leggere la Toràh e non potendo nutrire la sua fede era ritenuto un uomo senza fede. La guarigione equivaleva a restituirgli la fede. Gesù, invece, interpreta ciò che sta per fare, il miracolo, come un’opera di Dio (la misericordia e la bontà salvifica di Dio verso l’umanità).
Il valore apologetico appare se si applica il metodo della storia della redazione. Verso la fine del sec. I, la grande Sinagoga della scuola di Jamnia decise di espellere dalla fede ebraica i "Minim" (i superbi = i cristiani), che fino a quel momento pensavano di essere il vero "resto d’Israele". La comunità di Giovanni, che è già stata testimone di questo avvenimento, vede nell’espulsione del cieco guarito dalla sinagoga un gesto profetico che anticipa l’espulsione dei cristiani (ebreo-cristiani) dalla fede ebraica. Dietro al "noi" di Gv 9,31 si possono scorgere i credenti che giudicano gli Ebrei ciechi perché completamente incapaci di accogliere Gesù come Messia. mentre dietro al "noi" di Gv 9,34 si collocano gli ebrei della fine del primo secolo che respinsero Gesù gli ebreo-cristiani.
Infine, il valore simbolico-teologico di tipo battesimale appare chiaro se si presta attenzione al dialogo fra il cieco guarito e Gesù. Il dialogo di Gv 9,35-37 rappresenta - con le modifiche richieste dal gesto liturgico - lo scambio tra il ministro del battesimo e il battezzato: "Tu credi nel Figlio dell’uomo?". "E chi è, Signore, perché io creda in lui?". "Tu l’hai visto: colui che parla con te è proprio lui". "Io credo, Signore!". A questo aspetto va aggiunto un secondo. Gesù non "spalma" il fango, ma "unge" (greco, epèkrisen) con il fango gli occhi del cieco. L’allusione riguarda l’unzione o dono dello Spirito. Un terzo aspetto è ciò che scrive s. Agostino: "Il cieco si lava gli occhi (lavarsi = essere battezzato) in quella piscina che è interpretata ’colui che è stato inviato’ (il nome della piscina, Siloe, significava "colui che è stato inviato" = Cristo Gesù è l’inviato dal Padre): il cieco fu battezzato in Cristo". La Liturgia ha voluto sottolineare quest’ultima lettura accostando a Gv 9,1-41, il testo di 1Sam 16,1b.4.6-7 come prima lettura ("l’uomo guarda l’apparenza, il Signore guarda il cuore") e il testo di Ef 5,8-14 come seconda lettura ("il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità").
Dimensione letteraria
Il testo biblico-liturgico ha aggiunto al testo biblico originale solo l’inizio narrativo: "In quel tempo, Gesù…". Sotto il profilo narrativo il testo si divide in più scene: il dialogo iniziale di Gesù con i suoi, il miracolo, la confessione del miracolato davanti ai vicini e a quelli che lo avevano visto prima, la confessione del medesimo davanti ai farisei, l’interrogatorio dei genitori, nuovo interrogatorio del miracolato. Vissuto fin dalla nascita nelle tenebre, il cieco miracolato vede la luce (simbolo della fede da cui deriva "ogni bontà, giustizia e verità") e da quel momento risponde a chiunque gli chiede l’origine della trasformazione che è avvenuta in lui, fino a subire la cacciata dalla sinagoga e a esprimere la sua fede in Gesù.
Riflessione biblico-liturgica
Il culmine del racconto è la confessione di fede del cieco guarito: "Io credo, Signore!". La sua esperienza profonda lo porta a collocare in secondo piano l’abbandono dei suoi cari e l’espulsione dalla sinagoga. Egli ha trovato il vero tesoro (cf Mt 13,44-46).
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