Pordenone, giovedì Santo 28 marzo, messa del Crisma in san Marco
L'omelia del Vescovo Giuseppe centrata su "Il presbitero, uomo di preghiera". La benedizione degli olii santi, tra cui uno proveniente da Capaci
Diocesi Concordia-Pordenone
Omelia Messa del Crisma
Concattedrale, Giovedì Santo 28 marzo 2024
Il presbitero uomo di preghiera
Carissimi fratelli e sorelle, carissimi confratelli nel sacerdozio, sono molto contento di essere qui con voi per vivere un’intensa esperienza spirituale, nella celebrazione della Messa crismale. È l’intera nostra Chiesa particolare di Concordia-Pordenone, nei suoi rappresentanti raccolti nella Chiesa concattedrale, che si stringe attorno a Gesù Cristo, “il testimone fedele … colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre” (Apocalisse 1,5-6). Oggi siamo qui riuniti come popolo sacerdotale per ringraziare il Signore per averci chiamati a seguirlo nell’amore e nel dono di noi stessi, nel sacerdozio comune, nella consacrazione e nell’ordine sacro, per accogliere i segni del suo amore: l’Eucaristia, il Sacerdozio ministeriale e gli Olii santi. Segni che trasformano la nostra vita perché ci innestano come tralci vivi al Cristo, rendendoci suo Corpo. Insieme abbiamo cantato, con il Salmo 88: “Canterò per sempre l’amore del Signore”. Parole che il Signore ha fatto risuonare sulle nostre labbra e nel nostro cuore, perché il suo amore non venga meno; perché non vengano mai a mancare la gioia, la gratitudine e le nostre preghiere, lodando e ringraziando il Signore per tutti suoi benefici e per il dono del ministero ordinato che ha affidato a molti di noi, con l’impegno di cantare con la nostra vita le meraviglie che Lui sta compiendo in noi.
Il Signore, oggi, in modo speciale per noi suoi ministri ordinati, ci dona un’altra parola: “Lo spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione” (Luca, 4,18). Nella colletta abbiamo chiesto al Signore che renda anche noi partecipi della sua consacrazione. Papa Benedetto, nell’Omelia della Messa del Crisma del 2009, si è soffermato sul significato di ‘consacrare’. Consacrare qualcosa o qualcuno significa passare dall’ambito di ciò che è nostro a quello di Dio. La consacrazione è dunque togliere dal mondo e consegnare al Dio vivente, considerando quello che si consacra non più nostra proprietà ma proprietà di Dio. Nell’A. T. la consegna di una persona a Dio si identificava con l’ordine sacerdotale, che determinava un essere tolto al mondo e donato a Dio. Non una separazione o un allontanamento dalla vita quotidiana ma piuttosto un essere posti davanti a Dio per rappresentare tutta l’umanità, donando se stessi per il bene degli altri. Gesù, con la sua consacrazione si fa insieme sacerdote e vittima. Ecco perché Bultmann traduce l’affermazione: “Io mi consacro” con “Io mi sacrifico”. Così l’unzione che anche noi, presbiteri e vescovi abbiamo ricevuto, è un dono dello Spirito santo, una forza per essere capaci di stare con il Signore nel sacrificarci e farci dono agli altri. Nella chiamata dei discepoli, secondo la narrazione di Marco, viene esplicitato ancora più profondamente il significato della consacrazione: “Ne costituì dodici … perché stessero con lui e per mandarli a predicare” (3,14). Il discepolo era chiamato a condividere tutto con il maestro e non solamente l’ascolto di alcune lezioni e insegnamenti, ma l’avere una relazione profonda e continuativa con lui. Una scelta e uno stile di vita che ci provoca e porta a domandarci cosa significa per noi stare con Gesù, rendere vera e sentita la sua presenza nella nostra vita, avere una relazione quotidiana e personale con lui. All’inizio dell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium, papa Francesco scrive: “Invito ogni cristiano, in qualsiasi luogo e situazione si trovi, a rinnovare oggi stesso il suo incontro personale con Gesù Cristo o, almeno, a prendere la decisone di lasciarsi incontrare da Lui, di cercarlo ogni giorno senza sosta” (n. 3).
Carissimi, nella vita di un vescovo, di un presbitero e di un diacono, dei consacrati e dei fedeli laici, il rapporto intimo e personale con Gesù deve diventare una priorità assoluta. Ecco perché desiderio soffermarmi e meditare in questa celebrazione particolare per noi presbiteri, sull’essere uomini di preghiera, mezzo privilegiato per coltivare la relazione personale con Gesù. Lo faccio per due motivi. Il Giubileo del 2025 è ormai alle porte. Per preparaci adeguatamente, papa Francesco ha voluto dedicare l’anno di preparazione 2024 alla preghiera. Scrive: “Nel nostro tempo si fa sentire sempre più forte il bisogno di una vera spiritualità, capace di rispondere ai grandi interrogativi che ogni giorno si affacciano alla nostra vita, provocati da uno scenario mondiale non certo sereno … che impedisce a tanta gente di vivere con gioia e serenità. Abbiamo bisogno, pertanto, che la nostra preghiera salga con maggior insistenza verso il Padre” (Prefazione al volume Pregare oggi, pag. 10). Fra poco rinnoveremo le Promesse sacerdotali, fatte nel giorno della nostra ordinazione. Tra i vari impegni che ci siamo presi, a noi vescovi è stato chiesto: “Volete pregare, senza mai stancarvi, Dio onnipotente, per il suo popolo santo, ed esercitare in modo irreprensibile il ministero del sommo sacerdozio?”. A voi presbiteri: “Volete insieme con noi implorare la divina misericordia per il popolo a voi affidato, dedicandovi assiduamente alla preghiera, come ha comandato il Signore?”. E a voi diaconi: “Volete custodire e alimentare nel vostra stato di vita lo spirito di orazione e adempiere fedelmente l’impegno della Liturgia delle ore, secondo la vostra condizione, insieme con il popolo di Dio per la Chiesa e il mondo intero?”. E tutti abbiamo detto con consapevolezza: “Sì, lo voglio”. La preghiera, scrive papa Francesco, è il respiro della fede, è la sua espressione più propria. Come un grido silenzioso che esce dal cuore di chi crede e si affida a Dio. Non è facile trovare sempre delle parole per esprimere la realtà della preghiera, perché si lascia descrivere solo nella semplicità di coloro che la vivono. Gesù stesso ci ha ricordato che quando preghiamo non dobbiamo sprecare tante parole ma affidarci, nel silenzio, al Padre, il quale sa di quali cosse abbiamo bisogno (cfr. Matteo 6,7-8). Non vi propongo un trattato completo sulla preghiera, ma solo alcuni spunti per la vita spirituale di tutti e in particolare per noi presbiteri e diaconi.
Nella nostra vita di consacrati, ma lo è anche nella vita di tanti fedeli laici, ci sono alcune tensioni da tener presenti tra preghiera e lavoro, tra assiduità con il Signore e missione apostolica verso il mondo, tra il momento in cui si è evangelizzati e quello in cui si evangelizza. Un equilibrio delicato, direi quasi fragile, che deve essere ricercato ogni giorno, pena la perdita della stabilità e la serenità umana e ministeriale. È stata una delle prime tensioni che ha vissuto la Chiesa nata dalla Pentecoste: “Non è bene che noi trascuriamo la Parola di Dio per servire alle tavole …invece, ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della Parola” (Atti 6,2.4). Come hanno fatto gli apostoli, così anche noi oggi siamo invitati a trovare delle priorità nella nostra vita e nel nostro ministero, perché – ce lo siamo detti parecchie volte – non possiamo fare tutto! Priorità non solo nella molteplicità dei compiti e servizi pastorali, ma prima di tutto nella gestione della nostra vita e del nostro tempo. Che cosa risulta decisivo e che cosa secondario? Spesso siamo capacci di trovare alibi e scuse per non pregare e per quitare la nostra coscienza, dicendo che ci manca il tempo, che il tempo fugge velocemente o che ci sono tante persone che hanno bisogno di noi. Ma aver tempo significa non aver tempo per tutto, significa dare ordine al tempo, creando al suo interno delle priorità. Nella tradizione cristiana la preghiera ha il compito di dare ordine al tempo e allo spazio, di dare ordine al mondo interiore, attraverso la capacità di discernimento e la scelta di quello che è più importante. Questo è anche uno dei valori e dei significati della Liturgia delle Ore. In un corso di esercizi Spirituali a vescovi e sacerdoti, padre Raniero Cantalamessa raccontò una storia che si applica in maniera esemplare alla preghiera nella vita dei pastori. Un giorno, un vecchio professore fu chiamato come esperto in un convegno a parlare sulla pianificazione più efficace del proprio tempo. Lo fece con un esperimento. Prese un grande vaso di vetro vuoto è lo riempì con delle pietre grandi quanto palline da tennis. Quando fu pieno, chiese agli ascoltatori: “Vi sembra che il vaso sia pieno?”. Tutti risposero di sì. Da sotto il tavolo tirò fuori un sacchetto di sabbia che versò sopra le pietre e muovendo il vaso la sabbia si infiltrò tra le pietre. È pieno questa volta il vaso” chiese. Divenuti più prudenti, alcuni cominciarono a capire e risposero: “Non ancora”. Infatti, l’anziano professore prese una caraffa d’acqua che versò e riempì il vaso. Questo dimostra che se non si mettono per prime nel vaso le pietre, non si riuscirà mai a farvele entrare in seguito. Per noi significa cominciare la giornata con un tempo di preghiera e di dialogo con Dio, cosicché le attività e gli impegni del giorno non finiscano di prenderci tutto il tempo.
In verità la preghiera è decisiva perché è l’altra faccia della medaglia della fede. La preghiera nasce dalla fede e ad essa rimanda. Spesso capita che la domanda sulla presenza e sulla qualità della preghiera nella propria vita sia parallela alla domanda sulla fede e sulla qualità della fede. Questo perché la preghiera è sempre espressione del desiderio del Signore, della sete di Dio e del suo amore. Scriveva sant’Agostino: “Il desiderio prega sempre, anche se la lingua tace. Se tu desideri sempre, tu preghi sempre. Quand’è che la preghiera sonnecchia? Quando si raffredda il desiderio” (Discorso 80,7). Ecco perché è necessario che ci interroghiamo e ci fermiamo a riflettere sulla nostra preghiera – non solo ora ma vi invito a farlo anche in questi giorni – per verificare e fare il punto sulla fede che abbiamo, per esaminare la nostra vocazione e per valutare il ministero che la Chiesa ci ha affidato, considerando attentamente la nostra vita e la qualità della nostra umanità. Preghiera, vita, ministero e fede sono interconnessi e sovente è la vita stessa, con il suo carico di eventi indesiderati e inattesi, come malattie, lutti, relazioni intriganti o semplicemente cambiamento di incarico o parrocchia, che ci conduce là dove non avremo mai voluto. Anche le diverse fasi della vita portano al cambiamento, comportando un riassetto della nostra umanità. Penso a chi vive il ministero appena ordinato, alla traversata della crisi della mezza età, ai 50 anni con il bisogno di sicurezza e stabilità, all’età attorno ai 65 anni che segna il compiersi della maturità e infine all’anzianità che è sempre più lunga e che comporta scelte non sempre facili. Tutti questi aspetti non sono senza ripercussioni su di noi che seguiamo il Signore vivendo il celibato. In queste situazioni è la preghiera che ci può portare a elaborare e integrare queste situazioni nella nostra vita e nel ministero, aiutandoci a comprendere che Dio agisce attraverso gli eventi della vita, soprattutto nei momenti di fatica e di crisi. Gesù ci ha insegnato che la preghiera può diventare il tessuto connettivo della nostra giornata. Pregare sempre senza stancarsi mai, pregare incessantemente, non vuol dire stare sempre in ginocchio, ma pregare con il cuore, desiderando che Dio entri nelle varie situazioni della vita. Se continuo è il nostro desiderio, continua sarà la nostra preghiera.
Anche se noi viviamo in un’epoca in cui Dio pare sparito dall’orizzonte di tante persone, sembrano intravedersi segni che ci parlano di un risveglio del senso religioso, di una riscoperta dell’importanza di Dio e di un’esigenza di spiritualità, che nascono dal desiderio di infinito, dalla nostalgia di eternità e da un bisogno di amore che ogni persona porta dentro di sé. Questo desiderio e questa attrazione verso Dio sono l’anima della preghiera, che è il luogo per eccellenza della gratuità, della tensione verso il cielo e verso l’Assoluto. Diceva don Mazzolari: “Se, durante le nostre giornate, non troviamo il modo di levare al cielo gli occhi e il cuore, non possiamo vivere la vita sacerdotale … La nostra forza viene dal cielo: è giusto, quindi, volgersi spesso al cielo, per respirare un po’ di aria di cielo” (Preti così, pag.68). Essere fedeli alla preghiera tutti i giorni non è sempre facile. Bonhoeffer ricordava che è necessario ‘imparare a pregare’, perché pregare non significa solamente aprire il proprio cuore al Signore, ma trovare la via che conduce a Dio per dialogare con Lui, sia che il nostro cuore sia pieno oppure vuoto. La vita di relazione e di amore richiede assiduità, dialogo e conversazione. Come avviene con le persone, così avviene anche con Dio. Ecco perché i discepoli hanno chiesto a Gesù: “Signore insegnaci a pregare” (Luca 11,1). Questa domanda nasconde al suo interno una dimensione propria di ogni persona: il bisogno di una guida che accompagni verso le cose più importanti della vita. Questo vale anche per la preghiera: vivendo con il Maestro, i discepoli sono stati attratti dal suo modo di pregare, dal suo ritirarsi in disparte, dal suo rapporto con il Padre. Nasce così l’attrazione al punto che gli apostoli desiderano esserne partecipi. Grazie a questo desiderio, Gesù decide di insegnare loro a pregare, a trasformare un loro desiderio in una vera e propria esperienza di dialogo con Dio, capace di plasmare il loro rapporto con Lui e con tutti gli altri. La preghiera non è una pia pratica di devozione ma è il ‘respiro dell’anima’, espressione di un bisogno profondo e naturale di ogni persona umana; vero dialogo con Dio e momento privilegiato di ascolto e di risposta, dove ci si apre alla sua volontà e alla sua guida. La richiesta dei discepoli rivela come la preghiera non sia una formula di comunicazione automatica, ma, al contrario, richiede l’insegnamento, la disciplina e le modalità che solo Gesù può indicare. Come i discepoli hanno chiesto a Gesù di insegnare loro a pregare, anche noi, per entrare in un rapporto intimo e personale con Dio, non dobbiamo temere di chiedergli aiuto.
Ognuno è chiamato alla preghiera. Gesù non ha consegnato agli apostoli una preghiera differente da quella consegnata ai discepoli: pregare è entrare in relazione e in dialogo con il Signore. Ma noi consacrati siamo chiamati a parlare in nome di Cristo, a santificare nella forza dello Spirito santo e a presiedere la comunità del Signore. In quest’ottica la caratteristica essenziale del presbitero è quella di stare davanti alla comunità in nome di Dio e di stare davanti a Dio in nome della comunità. Questi aspetti fondamentali ci aiutano a dare una forma e a plasmare con più forza la nostra preghiera, particolarmente quella liturgica. Come ogni discepolo siamo chiamati all’ascolto della Parola, nella consapevolezza di doverla annunciare agli altri. Questo è il grande significato e valore della nostra preghiera! Nella preghiera, infatti, non solo entriamo in dialogo e relazione profonda con il Signore, ma siamo chiamati a pregare per il popolo che ci è stato affidato. Ce lo ricorda anche quanto è emerso dal cammino sinodale che abbiamo vissuto in questi anni. Nel libro sinodale si legge, infatti, al n. 134: “Gesù ha compiuto le scelte più importanti in un clima di intimità e familiarità con il Padre. Così anche il presbitero, per essere apostolo e missionario, è chiamato a vivere l’identità del discepolo, cioè stare alla presenza di Gesù, nutrirsi della sua Parola (cfr. IL 137). La cura dell’interiorità è uno degli aspetti qualificanti il suo ministero ed è fondamentale per l’accompagnamento spirituale dei fedeli”. Quando alla sera, prima di andare a riposare, facciamo ‘l’esame di coscienza’, dopo aver lodato e ringraziato il Signore per i doni e le grazie ricevute nella giornata, è importante che ci chiediamo quanto abbiamo pregato per le persone incontrate, presentandogli volti, nomi e situazioni particolari. Questo è il nostro primo compito e dovere. La più bella attività pastorale che ci è stata affidata nel giorno dell’Ordinazione è il pregare per la nostra gente, presentando al Signore le persone e le situazioni più complicate! La preghiera per noi preti è il luogo in cui portiamo le vicende umane al cospetto dell’amore di Dio, per meglio comprenderle alla luce del Vangelo. Per il gregge che gli è stato affidato, il presbitero è modello nella sequela di Cristo, diventando il primo orante della comunità. Carissimi confratelli, facciamo nostra la preghiera di Gesù: “Io prego … per quelli che crederanno in me mediante la loro parola, perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Giovanni 17,20-21).
Un’ultima sottolineatura, che riassume tutto quello che vi ho detto: prima di essere parola rivolta al Signore, prima di essere lode, ringraziamento, domanda o intercessione, la preghiera è ascolto della Parola che il Signore rivolge a ognuno di noi personalmente. Va anche detto che l’ascolto è il momento più difficile della preghiera, perché l’ascolto di Dio non è mai disgiunto dall’ascolto degli altri e della realtà che ci circonda. Per il presbitero l’ascolto è ancora più importante, perché quello che egli può annunciare e testimoniare dipende da ciò che ascolta. Chi è chiamato a presiedere una comunità innanzitutto deve chiedere a Dio la grazia di un cuore che ascolta, sempre in ascolto della parola del Signore, per poi comunicarla alla comunità. Se si prega solamente parlando a Dio, si finisce per vivere la preghiera con un senso di frustrazione, accusando Dio di non ascoltare o di non farsi sentire. Spesso le persone dicono che noi preti facciamo fatica ad ascoltare, avendo sempre risposte e soluzioni. L’ascolto è un’arte, fatta di sollecitudine, esercizio, attenzione, passione e custodia. Da qui nasce una priorità per noi: scegliere ogni giorno un tempo preciso e costante per ascoltare ciò che il Signore dice al nostro cuore, fino ad acquisire un cuore che scolta, un cuore capace di entrare in comunione profonda con il Signore che ci parla. Solo ascoltando la Parola potremo operare un discernimento sulla propria vita e sulle relazioni con gli altri. Se noi permettiamo al Signore di parlarci ancora, Lui si farà sentire ed entrerà nel nostro cuore e nella nostra vita. Molti già lo fanno. Sono convinto che la Lectio Divina quotidiana, Dio che parla a noi e a me personalmente, possa diventare il nutrimento necessario e indispensabile per essere unti al Signore e per servire con gioia e passione le persone che sono affidate alla nostra cura pastorale. Da parte mia vi assicuro che porto ciascuno di voi e tutta la nostra Chiesa di Concordia-Pordenone nella mia preghiera.
Entrando ormai nei giorni del triduo santo, vi auguro di poterli vivere con intensità spirituale insieme con le vostre comunità e di celebrare nella serenità la Santa Pasqua. Saluto con affetto il vescovo Ovidio e il vescovo Rino, insieme a voi tutti cari confratelli presbiteri presenti e anche agli assenti per vari motivi, in particolare i malati, gli anziani. Un caloroso abbraccio a nome di tutti a don Lorenzo Barro, rientrato per qualche giorno dal Mozambico, e attraverso di lui a tutti i missionari e a quanti si trovano impegnati ad esercitare il ministero in altre Chiese. Un grazie cordiale e un sincero augurio a voi diaconi, religiosi e religiose e a tutti i fedeli laici provenienti dalle varie parrocchie. Saluto anche i sacerdoti e religiosi giunti tra di noi in questi giorni per prestare un servizio nel periodo pasquale.
Fratelli e sorelle, “lo Spirito di Dio, che non lascia deluso chi ripone in Lui la propria fiducia, vi colmi di pace e porti a compimento ciò che in voi ha iniziato, perché siate profeti della sua unzione e apostoli di armonia. (Papa Francesco, Omelia messa Crismale 6 aprile 2023).
+ Giuseppe Pellegrini
vescovo
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