Sentinella di pace
Nel viaggio di papa Francesco in Ungheria di fine aprile non poteva mancare un richiamo possente alla pace. Lo ha fatto con una domanda: "Pensando alla martoriata Ucraina mi chiedo dove sono gli sforzi creativi di pace?". (foto Vatican Media / Sir)
Nel viaggio di papa Francesco in Ungheria di fine aprile non poteva mancare un richiamo possente alla pace. Un viaggio fatto a completamento di una prima presenza a Budapest nel settembre 2021 per il Congresso eucaristico internazionale, ma anche un viaggio ben calato nell’oggi di un mondo sconvolto da 14 mesi e mezzo di guerra, 450 giorni di bombe e morte contro un paese, l’Ucraina, distante solo trecento km dalla capitale ungherese.
Tanti gli incontri e i discorsi nella intensa tre giorni: alcuni molto toccanti (disabili), altri più vigorosi (giovani), altri ancora legati alla vita in senso stretto della Chiesa (clero e religiosi), ma per certo il più atteso era quello rivolto alle autorità politiche e al presidente Orbàn, poco allineato alle logiche di apertura e accoglienza dei migranti tanto care al papa. E’ con la sua presidenza, infatti, che sono stati costruiti due lunghi muri di rete metallica alti tre metri e mezzo e coronati da spirali di filo spinato: il primo al confine con la Serbia di 170 km (2015) e il secondo al confine con la Croazia lungo il doppio, 350 km (2019). Chissà come saranno risuonate a molti le parole del papa nell’omelia di domenica 30, in una strapiena piazza Kossut: “E’ triste e fa male vedere porte chiuse”.
Al presidente dei muri e al suo governo, ma pure all’Europa intera, Francesco ha rivolto un discorso ricco di interrogativi, domande che aspettano una risposta come gli uomini che soffrono aspettano una mano tesa. Dalla città dei ponti, Francesco ha invitato a farsi ponti verso l’altro nel senso della accoglienza ma anche dell’urgenza di farsi ponti di pace in un’Europa di nuovo insanguinata dalla guerra.
Una guerra che l’Ungheria conosce bene per gli innumerevoli profughi - questi sì – accolti dal 24 febbraio 2022: un milione e mezzo di persone in un paese con dieci milioni di abitanti. Uno sforzo straordinario e magnifico in cui molta parte hanno fatto le realtà e comunità religiose a partire dalla Caritas ma non solo.
Francesco è partito dalle caratteristiche della città per il suo appello alla coesione della famiglia umana ed europea all’insegno dei valori più alti: accoglienza e pace. Come i ponti di Budapest uniscono ma non uniformano, collegano mantenendo la diversità delle rive, così l’Europa sia “un insieme che non appiattisca le parti, dove le parti si sentono ben integrate nell’insieme, conservando la propria identità”. Quella indicata da Francesco è un’Europa libera, non ostaggio di nessuno” e “non preda di populismi autoreferenziali". In questa libertà - di ogni singola nazione come dell’Unione nel suo insieme - stanno la base e la forza per il mantenimento della pace.
Agli ungheresi il papa ha ricordato che la loro stessa libertà odierna è figlia di guerre e deportazioni subite: "Paese che, dopo aver pagato un alto prezzo alle dittature, porta in sé la missione di custodire il tesoro della democrazia e il sogno della pace". Passato e missione condivisi da tante nazioni riunite dalla bandiera a dodici stelle.
Da oltre un anno, però, il settantennio di pace è stati infranto. Su questo punto il papa ha lanciato l’interrogativo più aspro, una di quelle domande capaci di andare così a segno che nessuna scusa può essere accampata e a cui si può rispondere solo con un consapevole silenzio. Francesco ha detto: “In questa fase storica i pericoli sono tanti; ma, anche pensando alla martoriata Ucraina, mi chiedo dove sono gli sforzi creativi di pace?".
Questi “sforzi creativi” sono una citazione da Robert Schuman, uno dei padri fondatori dell’Europa (1950). Sono parole preziose, nate dalle macerie e dal sangue della seconda guerra mondiale, parole tanto importanti da essere state ricordate un anno fa anche dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel discorso al Consiglio d’Europa per il suo secondo mandato (Strasburgo, 27 aprile 2022). In quell’occasione aveva detto: “Non fu facile imboccare la strada della riconciliazione” ma fu indispensabile per fare della pace la missione condivisa della casa comune europea.
Il Papa e il Presidente quel sogno e quella missione invocano, tratteggiando una via che tocca alla politica percorrere. La pace torni il primo sogno e il primo impegno di ogni europeo: a questo invitano entrambi. L’Europa si mantenga sentinella di pace, salda e fedele al nòcciolo vero della sua missione, nata essa stessa dalle macerie della guerra, nata perché la guerra fosse sconfitta e regnasse finalmente la pace tra popoli che pure si erano massacrati l’un l’altro. Altri massacri sono in corso, ugualmente vani e dolorosi. Torni blu cielo la bandiera europea, non più annerita dai fumi di esplosioni mortifere e fratricide.
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