L'Editoriale
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Naufragio dell'umanità

Se ogni epoca ha i suoi orrori questi sono quelli a nostro carico e di fronte ad ogni orrore c’è chi lo subisce, chi lo perpetra e chi resta a guardare. Ma ci deve essere anche chi trova il modo di dire che così non va e indica o cerca la via o invita a cercarla per cambiare le cose con l’urgenza delle priorità.

Parole chiave: Cutro (3), Frontex (1), Migranti (64), Crotone (2), Naufragio (7), Vittime (13)
Naufragio dell'umanità

Naufragio

dell’umanità

Simonetta Venturin

“Nessuno lascia la propria casa /a meno che casa sua non siano le mandibole di uno squalo …Nessuno lascia casa sua / a meno che non sia proprio lei a scacciarlo… Dovete capire /che nessuno mette i suoi figli su una barca / a meno che l’acqua non sia più sicura della terra…”. Questi sono alcuni dei versi bellissimi e tragici della poesia “Casa” di Warsan Shire, britannica di origine somala emigrata ad un anno con i genitori nel Regno Unito. Forse sarebbe il caso di farli studiare a scuola e ancor più di farli conoscere agli adulti, anche se in giorni come questi, quando settanta bare si impongono alla vista e alla coscienza, vengono ripescati dal mare del silenzio dove di solito si lasciano riposare insieme alle tante vite di migranti perse nel lento e silenzioso stillicidio anonimo che, giorno dopo giorno, ha portato a 331 migranti morti nel nostro Mediterraneo nei primi due mesi di quest’anno (una media di 5,5 al giorno); 2.406 nel solo 2022 (6,6 al giorno); cifra che sale a 26mila annegati accertati negli ultimi dieci anni.

Ed era proprio dieci anni fa che a Lampedusa si registrava uno dei naufragi più funesti: il 3 ottobre i migranti morti furono 368. L’ennesimo in una stagione con tanti sbarchi e tante morti: circostanza che portò il governo italiano a rafforzare il pattugliamento del Canale di Sicilia con l’Operazione Mare nostrum, una missione militare e umanitaria che mirava a prestare soccorso alle persone prima che nuove tragedie potessero compiersi nel Mediterraneo, rievocata e chiesta l’indomani della tragedia del 26 febbraio scorso a Steccato di Cutro (Crotone) dal cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei. L’operazione dal novembre 2014 è stata sostituita da “Frontex plus”, un programma guidato dall’Unione europea, finalizzato al controllo delle frontiere.

Nel 2013 a Lampedusa era accorso anche Francesco, a soli cinque mesi dall’elezione al soglio pontificio - di cui stiamo per ricordare il decennale (13 marzo). Fu il suo primo viaggio da papa (8 luglio) e da allora è rimasta scolpita nella memoria la reiterata domanda contenuta nella sua omelia: “Caino, dov’è tuo fratello?”.

A porgere l’estremo saluto alla settantina di bare figlie dell’ultimo naufragio è andato invece il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che prima ha parlato con il silenzio, la contrizione, l’amarezza profonda di un Capo di Stato che va ad omaggiare coloro che lo Stato non ha salvato, poi ha dichiarato: “Il cordoglio si tramuti in scelte concrete”. Saranno le indagini a verificare procedure ed eventuali responsabilità, errori o omissioni. Quel che pare di poter dire è che una procedura fatta di rimbalzi e di enti diversi allunga i tempi d’azione che, nell’emergenza, devono essere rapidi.

Se ogni epoca ha i suoi orrori questi sono quelli a nostro carico e di fronte ad ogni orrore c’è chi lo subisce, chi lo perpetra e chi resta a guardare. Ma ci deve essere anche chi trova il modo di dire che così non va e indica o cerca la via o invita a cercarla per cambiare le cose con l’urgenza delle priorità. Il cardinale Zuppi ha dichiarato: “Questa ennesima tragedia, nella sua drammaticità, ricorda che la questione dei migranti e dei rifugiati va affrontata con responsabilità e umanità”. Talora è parso che anche l’umanità affondasse insieme a chi la chiedeva.

Se una politica migratoria congiunta a livello europeo resta la via maestra, non va dimenticato da chiunque si trovi ad agire nella questione migranti - sia che si occupi delle decisioni superiori sia che concretamente gli pertenga l’agire pratico nell’emergenza – che spetta ad ogni singolo uomo l’imperativo morale di non scordare mai che non c’è vita che non valga più di un iter burocratico da rispettare. E che un gesto di umanità fraterna è ancora una di quelle azioni che danno un senso pieno alla vita. Ce lo ricordano volontari, sacerdoti e religiosi/e, persone che si spendono lontano dai riflettori per questa umanità ferita, fragile e sola. Lo fa anche qualche poeta - categoria di scarso seguito – la cui penna sa muoversi a compassione contro inettitudine e indifferenza: “Mare nostro – ha scritto Erri De Luca – ti abbiamo seminato di annegati più di qualunque età delle tempeste (…) Custodisci le vite cadute, da’ carezza, abbraccio, bacio in fronte”.

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