L'Editoriale
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Il tabù da sostenere

Il comitato norvegese che assegna il Nobel per la pace ha scelto di insignire l’associazione giapponese Nihon Hidankyo che raccoglie i sopravvissuti a quell’inferno in terra che furono le due bombe atomiche sganciate a Hiroshima e Nagasaki nell’agosto 1945. Il Comitato del Nobel ha dichiarato che sulla scelta ha inciso questo: “La consapevolezza che il tabù nucleare internazionale, che si consolidò dopo le bombe sganciate in Giappone, in questi ultimi anni, sia stato messo in discussione”. Invece è da sostenere come garante della sopravvivenza globale. (foto da wikipedia, Charles Levy - U.S. National Archives and Records Administration, Pubblico dominio)

Parole chiave: Hiroshima (1), Nagasaki (1), Atomica (3), Nucleare (4), Nobel (2), Pace (109)
Il tabù da sostenere

Se il premio Nobel per la pace targato 2024 servisse a scuotere le coscienze, non di chi lo ha meritato, ma dei potenti del mondo, quel premio lo avremmo vinto tutti, umanità oggi in pericolo. Ma già nell’esprimerlo, emerge tutta la consapevolezza del pio desiderio.

Il comitato norvegese che assegna il Nobel per la pace, valutate le quasi trecento candidature, venerdì 11 ottobre ha scelto infatti di insignire l’associazione giapponese Nihon Hidankyo. Fondata nel 1956, raccoglie sopravvissuti a quell’inferno in terra – così lo descrisse chi lo vide - che furono le due bombe atomiche sganciate a Hiroshima e Nagasaki nell’agosto 1945 per accelerare la fine della guerra. Provocarono 210 mila morti e 150mila feriti allo scoppio, molti altri dopo, a breve e lunghissimo periodo. Per certo si videro le città trasformate in tabula rasa, le persone fatte letteralmente a brandelli.

Un premio che calza perfettamente ai nostri giorni dato che, dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, Vladimir Putin non ha mancato catastrofiche minacce nucleari, annunciando fin dal febbraio 2023 all’impotente resto del mondo che interrompeva l’adesione al Trattato New Start per la non proliferazione delle armi nucleari. Minacce atomiche sono state pure un ricorrente ritornello nelle parole del leader nordcoreano Kim Jong-un, mentre di recente anche Israele ha brandito la stessa minaccia. Episodi che dimostrano - purtroppo per noi tutti – che la paura del nucleare, sopravvissuta ad Hiroshima e Nagasaki come freno efficace all’uso dell’atomica, ora non funziona molto meno. La forza deterrente di quella tragedia si mostrò tutta nell’episodio della crisi di Cuba quando il mondo fu a un passo da nuove esplosioni: nell’ottobre 1962 la tensione tra Usa e Unione Sovietica raggiunse l’acme per l’installazione di missili nucleari sovietici a Cuba, facendo sentire gli Usa sotto attacco. Eppure, anche in quell’episodio gravissimo, giunti ad un passo dalla guerra nucleare, pur dopo giorni di minacce e tensioni, Krusciov e Kennedy seppero fare marcia indietro. Oggi, purtroppo, c’è una drammatica sfida di passi in avanti.

Se allora ebbero effetto le parole di papa Giovanni XXIII, sembrano oggi quasi non averne gli innumerevoli appelli di Francesco. Certo, in sessant’anni il mondo è cambiato due volte: sembra ascoltare meno la parola del Santo Padre e sembra aver perso il tabù dell’uso dell’atomica. A metà degli anni ’60, a venti dalle tragiche esplosioni sulle due città giapponesi, il ricordo dello scempio era ancora atroce, forte quanto basta a far desiderare il “mai più”. Oggi, quell’episodio è lontano, la paura pare sbiadita, i leader alzano toni arroganti, abituando il mondo a minacce sempre più gravi.

Il Comitato del Premio Nobel ha dichiarato che sulla scelta della assegnazione ha inciso prorpio questo: “La consapevolezza che il tabù nucleare internazionale, che si consolidò dopo le bombe sganciate in Giappone, in questi ultimi anni, sia stato messo in discussione”. Invece è da sostenere come garante della sopravvivenza globale.

Stando ai dati resi noti da Icam (Campagna per l’Abolizione delle Armi Nucleari) nel 2023 nove paesi del mondo (Cina, Francia, India, Israele, Corea del Nord, Pakistan, Russia, Regno Unito e Stati Uniti) hanno complessivamente speso in armi nucleari 91,4 miliardi di dollari, qualcosa come tre dollari al secondo. Una cifra sconvolgente che sale a 387 miliardi di dollari in armi nucleari se si considerano gli ultimi cinque anni. Nella classifica del 2023 i primi sono gli Usa con 51,5 miliardi di dollari (+17,8%), seguiti da Cina (11,9 miliardi, +6,7%), Russia (8,3 miliardi, +6,1%), Regno Unito (8,1 miliardi, +17.1%).

Inutile ricordare che quelle risorse potevano essere impiegate per la vita non per la morte e non ci sarebbe che l’imbarazzo tra le emergenze, dati i bisogni dell’umanità: cambiamento climatico (una minaccia planetaria di sconvolgimenti come continuiamo a vedere), sanità (Covid docet), fame nel mondo (che fine ha fatto l’obiettivo fame zero dell’Agenda30?). Tre minacce gravissime a cui non si dà l’attenzione che meritano. E, dato che domenica 20 ottobre è pure la Giornata mondiale delle missioni, vale la pena ricordare che il messaggio scelto da papa Francesco per quest’anno è: “Andate e invitate al banchetto tutti”. Invece sono 800 milioni nel mondo le persone che soffrono per fame e malnutrizione, mentre un manipolo di potenti spreca risorse per farsi (farci) saltare in aria.

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