Un anno dedicato a San Giuseppe
La paternità significava per Giuseppe introdurre il figlio con un patrimonio di valori per affrontare ben preparato il divenire della vita con i suoi imprevisti da verificare e svolgere con principi orientativi di grande valore, persino rivoluzionari.
San Giuseppe va il nostro pensiero alla ricerca di ciò che nel Vangelo si dice di lui: uno speciale dono di Dio quale provvido carisma. Circondato dai gigli che la devozione pittorica dei secoli ha voluto effondere sulle sue mani caste con abbondanza sovrana, si presenta come padre dal cuore tenero.
Se ci inoltriamo dentro del suo profilo troviamo la caratteristica di un uomo che si fida di Dio, in ogni circostanza dell’avventura umana.
Di buona intelligenza capisce il disegno di Dio e lo esegue nella condivisione con Maria vergine e madre. Nell’alone del silenzio custodisce la Parola di Dio che gli parla nella notte senza pronunciare neppure una sillaba. Aveva la piena consapevolezza che il silenzio si eleva a parola, è la Parola di Dio. La coerenza tra il dire e il fare combaciavano in egual misura in questo attivo artigiano silenzioso e pio.
Nascondeva nel suo ritiro - anche i Vangeli sono più che sobri nei suoi confronti - il suo fare e credere con la stessa misura, poiché nascondeva la responsabilità della vita di un altro. E quale Altro!
Quell’altro che per l’esistenzialista Paul Sartre costituisce "l’inferno", dal momento che interferisce nella nostra stessa vita che si proclama svincolata da ogni trascendenza.
Tutta questa situazione nascondeva il suo riposare in Dio, il suo agire con Dio, il suo identificarsi con l’Infinito personale, sempre sereno, poiché amava quel suo essere in continuazione sotto lo sguardo dell’Altissimo.
La paternità significava per Giuseppe introdurre il figlio con un patrimonio di valori per affrontare ben preparato il divenire della vita con i suoi imprevisti da verificare e svolgere con principi orientativi di grande valore, persino rivoluzionari. Basti pensare alle Beatitudini di Matteo e di Luca (Mt 5, 1-12; Lc 6,20-23).
Quella paternità costituisce anche la capacità di educare a maturare verso un livello di libertà davanti a Dio e agli uomini. Suo figlio doveva salire al Golgota liberamente per compiere una missione, parte integrante di un disegno divino.
Vorrei intuire e rivivere per conoscere quante volte Gesù Bambino ha abbracciato suo padre putativo e gli ha detto: "Ti voglio bene papà!", magari con quella "infinita tenerezza veneta" intuita dai poeti.
Certo nella discussione al Tempio non era troppo smarrito se resisteva con la discussione, forse interpretavano il Servo di Jahweh di Isaia, con i maestri d’Israele, raffinati rabbini. In quella circostanza era suo padre ansimante sollecito a cercarlo: imbarazzato. Chi parla è sua madre. Nessun rimprovero esce dalla sua bocca. È la Vergine che rimbrotta sottovoce: "Tuo padre ed io angosciati ti cercavamo!" (Lc 2, 48).
Si sente padre nel silenzio che vede la gerarchia dei valori familiari rispettata con il capo della famiglia in prima linea. L’ultimo che diventa il primo secondo il detto evangelico: "I primi saranno gli ultimi!" (Mt 20,18).
Dio non cessa di sorprenderci, poiché l’infinito Onnipotente ha bisogno della protezione di Giuseppe per "Far crescere in sapienza e grazia presso Dio e gli uomini" (Lc 2,51-52) un figlio proiettato "alle cose del Padre celeste".
Il figlio precorre i tempi e intuisce la sua vocazione con lucidità eccezionale tanto da lasciare Giuseppe nel silenzio meditativo e senza parola, poiché non aveva nulla da aggiungere. Un evangelista come Luca così lo delinea con uno stile di intellettuale di formazione secondo la paideia greca, a dir il vero un po’ criticata dall’apostolo Paolo.
In Gesù Bambino Giuseppe esperimenta: "Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me" (Mt 25,40).
Tra i santi la piccola Teresa di Lisieux, dottore della Chiesa, affermava con solennità: "Non ricordo ad oggi di avergli domandato cosa che non mi abbia concesso. Stupiscono le grandi grazie da Dio concessami per mezzo di questo Santo beato. Il Signore vuol farci capire che, come sulla terra era suo padre e poteva comandargli, così in cielo può fare altrettanto!".
Per questa consapevolezza papa Francesco ha scritto una Lettera Apostolica nel 2021: "Patris corde" sulla scia di una enciclica uscita dalla penna di Leone XIII nel 1889: "Quamquam Pluries" per indicarci un potentissimo intercessore di grazie, disattese spesso anche dall’uomo moderno cristianamente educato. E soprattutto per le vicissitudini storiche dolorose di questo periodo storico flagellato da lutti diffusi in tutto il mondo.
"Se siete in difficoltà rivolgetevi a San Giuseppe" ci ripete papa Francesco (17-3 -2021). Come il papa Leone della "Rerum Novarum" (O beato Giuseppe stretti dalla tribolazione…) anche Francesco ha scritto una preghiera al "Custode del Redentore: "O beato Giuseppe, mostrati padre anche per noi, e guidaci nel cammino della vita. Ottienici grazia, misericordia e coraggio. E difendici da ogni male. Amen". In tempi di pandemia allarmante un grido di speranza agli uomini del mondo moderno impotenti e in crisi di coscienza di fronte a un virus Covid-19 misterioso e proteiforme come la nostra supponenza del vivere, al quale neppure la scienza sa trovare un mezzo efficace e sicuro.
Pietro Zovatto
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