Tra Halloween e Ognissanti
Halloween e Ognissanti: la questione è semplice, si tratta di scegliere tra le tenebre e la luce
Devo ammettere che la zucca intagliata ed illuminata nottetempo mi attrae e diverte. Subentra però in me un interrogativo “che cosa mai significa?” ed è proprio qui che tutto il mio divertimento accusa il suo franare.
Non potremmo essere capaci di sostituire ad un immaginario che, oltretutto non è tipico della nostra mentalità, un immaginario più trasparente e nostro? Zombie, streghe, mostri, accalappiano noi e i nostri bambini sempre pronti al gioco, in un vortice consumistico. Dipende però da quanto loro insegniamo e tramandiamo.
È naufragato il tentativo di far virare il Capodanno celtico pagano nell’odierno Halloween, l’antico suonava All Hallow’s Eve, cioè la vigilia di Tutti i santi.
Siamo ripiombati nel paganesimo. Non abbiamo la forza interiore e la fantasia collettiva per vincere un’ondata di consumismo e di respiro macabro. La simpatica zucca (quando non è un ghigno terrificante) narra la leggenda di Jack’-o-lantern, l’ubriacone che, ripetutamente, riesce ad imbrogliare il diavolo, a carpirgli una moneta per un’ultima bevuta e a non vendergli l’anima. Una volta morto però, il peccatore Jack si vede rifiutato l’ingresso in Paradiso.
Non potremmo invece di immaginare un Jack errante per il mondo senza pace, immaginare un Jack che ha incontrato la vera Luce, il Padre Misericordioso?
Perché trasmettere alla nostra gioventù un finale non solo disfattista ma anche contrario al dono evangelico?
Lo si sa:
"La vigilia d’Ognissanti
han paura tutti quanti:
è la notte delle streghe".
Come se le streghe potessero materializzarsi uscendo dai cartoon (simpatici anche ma solo fantasiosamente allusivi) e penetrare nel nostro quotidiano.
Per noi, credenti, Ognissanti indica la festa di tutti noi radunati, dopo il cammino sulla terra, indubbiamente accidentato e talvolta pericoloso, nella Casa del Padre. Dire tutti, significa tutti, nessuno escluso. Neppure il nostro Jack.
Allora le luminarie non potrebbero rimandare a quella luce che brilla da quando Gesù Cristo ha infranto le porte dell’Ade e, passato nel regno della morte per liberarci da ogni timore, ci ha mostrato il suo Volto di Risorto?
Nulla vieta di essere allegri e di ritrovarsi ma per celebrare la luce non la tenebra che inghiotte.
Ognuno ed ognuna di noi, abitanti del pianeta Terra, sperimentiamo il distacco da persone care e vorremmo ancora averle vicine, poter loro parlare, incontrarle. Un guizzo interiore però ci sussurra che sono giunti, stanno bene, sono risolti, sono i viventi nel Vivente.
Ed allora ogni sentore o simbolo macabro è bandito, è del tutto fuori posto.
Noi celebriamo la festa per eccellenza di tutti i pellegrini che hanno sperimentato sulla propria pelle l’impossibilità di compiere e di compiersi, del tentare e ritentare che segna la quotidianità, siamo tutti il Cigno di Rilke:
Questo tormento per ciò che non è ancora compiuto,
come un andare pesante e legato,
somiglia all’andatura indecisa del cigno.
E il morire, questo non più afferrare la base
sulla quale noi stiamo quotidianamente,
somiglia al suo ansioso lasciarsi cadere giù,
nelle acque che lo ricevono teneramente e,
felicemente oltrepassate, sotto lui
si richiudono, onda dopo onda;
mentre lui, infinitamente silenzioso e sicuro,
sempre più compiuto e regale
e tranquillo si compiace di andare.
Noi, cigni di Ognissanti, siamo giunti ed allora il nostro simbolo da macabro si fa lieto, da lugubre diventa radioso e trova il suo posto, che nulla potrà ormai contaminare o scalzare in quell’immagine che Dante ci ha donato e ha forato i secoli:
In forma dunque di candida rosa
mi si mostrava la milizia santa
che nel suo sangue Cristo fece sposa.
E se donassimo candide rose invece di zucche ghignanti?
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