Il Pediatra: bambini che non funzionano
Necessaria un’alleanza tra tutti i soggetti che lo educano per riuscire a vedere oltre i sintomi
Si parla di bambino che "non funziona" quando siamo in presenza di un bambino o di un ragazzo che non riesce a svolgere le normali attività che ci si aspetta che un soggetto di quella età riesca a svolgere.
Poche condizioni sono più gravi per il bambino/ragazzo di quelle che, pur in assenza di una patologia organica, vale a dire una malattia fisica vera e propria, gli impediscono di "funzionare", di vivere cioè la vita che gli spetta normalmente.
Per disturbi funzionali intendiamo sia quelli in cui un substrato organico direttamente responsabile dei sintomi non è riconosciuto (si parla di sintomi somatici), sia quelli in cui la sovrapposizione con disturbi di natura esclusivamente psicologica è via via più rilevante (sintomi psicosomatici).
I bambini e i ragazzi dei nostri tempi soffrono, più che nel corpo, nella mente, nel cuore e nell’anima.
Nel bambino o nel ragazzo, come nell’adulto del resto, il disagio emotivo e relazionale viene non di rado, anzi sempre più frequentemente, mascherato attraverso sintomi fisici che evocano il sospetto di una malattia organica.
E allora, davanti al sospetto di una malattia, è normale preoccuparsi e cercare di fornire una diagnosi clinica a tutti i costi. Si fanno visite, si consultano specialisti, si eseguono esami. S cerca la risposta di quel malessere in un organo, in una malattia... Si cerca la soluzione ad un problema ritenuto organico, ma che alla fine le visite e gli esami di fatto negano esistere.
Compaiono però i sintomi: dolori addominali, cefalea, nausea, vomito, sensazione di nodo in gola, dolori muscolo scheletrici, febbre, vertigini, non voler andare a scuola, il rifiuto o l’abbandono dell’attività sportiva.
Questi sintomi non vanno mai banalizzati in quanto causano una reale sofferenza e disabilità. Non sono sotto il controllo volontario del bambino o del ragazzo.
L’importante è "vedere" oltre il sintomo e avere presente che, come diceva il dott. John Apley: "Il bambino e il ragazzo non sono altro che il barometro del contesto familiare e sociale in cui vive".
I medici (e non solo loro) sono chiamati a dare ascolto, attenzione, partecipazione, empatia: ascoltare i genitori e soprattutto il bambino e il ragazzo per conoscere la situazione familiare, la situazione scolastica, la situazione del tempo libero, degli amici, dell’attività sportiva per conoscere il vissuto di quel bambino.
La società cambia e cambia velocemente, troppo velocemente e talvolta perde la bussola.
Oggi l’adolescente è "grande" per il pediatra e "piccolo" per il medico di base. Quante volte i genitori pensano: "ormai sta bene", "è sano", "non si ammala più". E quindi non necessita di controlli nel fisico, ma nella mente e nel cuore?
Il bambino, il ragazzo, l’adolescente dovrebbero essere il soggetto di una reale comunicazione-conoscenza-interazione tra famiglia, scuola e attività ricreative, sportive e non. Solo così si può cercare e sperare di capire dove ha o può aver avuto origine il problema.
Antonio Sabino
Pediatra
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