Libertà di culto tra sicurezza e tutela della salute
Analisi e valutazioni giuridiche della situazione alla luce della Costituzione e delle libertà fondamentali
Sono legittime le misure di divieto di celebrazione delle Messe e delle altre funzioni religiose con la partecipazione dei fedeli?
La risposta è stata data da tutta la Chiesa, e direttamente dal Papa, con grande spirito di collaborazione, celebrando in solitudine le funzioni, trasmettendole attraverso la televisione e sospendendo i funerali pubblici. Nessun contrasto con le autorità statali è insorto sino al momento in cui il Presidente del Consiglio ha comunicato la ripresa di molte attività dal 4 maggio, senza fare alcun riferimento alle Messe comunitarie, consentendo solo di celebrare i funerali con la presenza massima di quindici persone.
Mentre la sospensione delle celebrazionireligiose era stata ritenuta finora adeguata per la tutela della salute, la sua permanenza è stata considerata dalla Conferenza Episcopale sproporzionata perché eccessivamente penalizzante la libertà di culto.
Il sacrificio imposto agli interessi religiosi è apparso eccessivo, potendosi limitare la sospensione alle sole messe feriali, non pure alla domenica.
Contro la prosecuzione del divieto, la Conferenza Episcopale Italiana ha emesso un comunicato dal contenuto molto esplicito.
In esso si afferma che si “esclude arbitrariamente la possibilità di celebrare la Messa con il popolo”; che gli organi statali hanno “la loro responsabilità – dare indicazioni precise di carattere sanitario – e quella della Chiesa, chiamata a organizzare la vita della comunità cristiana, nel rispetto delle misure disposte, ma nella pienezza della propria autonomia”; che “i Vescovi italiani non possono accettare di vedere compromesso l’esercizio della libertà di culto”.
La Conferenza Episcopale ritiene perciò che l’apertura dei luoghi di culto alle celebrazioni con la presenza dei fedeli, possa avvenire con l’osservanza di tutte le precauzioni per evitare il rischio di contagio.
Il contrasto fra la Conferenza Episcopale Italiana ed il Governo, che peraltro sembra essersi avviato ad una prossima risoluzione, richiama alcuni principi che regolano la nostra comunità religiosa e civile.
La Chiesa italiana è, come la sua storia millenaria insegna, un ordinamento primario. La nostra Costituzione all’art. 7 afferma che essa è “nel proprio ordine indipendente e sovrana”.
L’indipendenza della Chiesa si manifesta nella “libertà di organizzazione e nel pubblico esercizio del culto” (art. 2 dell’Accordo di Villa Madama far Stato e Santa Sede).
La Costituzione italiana prevede espressamente, all’articolo 16, che la libertà di circolazione possa essere limitata “per motivi di sanità o di sicurezza”. L’articolo 17, sulla libertà di riunione, dispone che essa possa essere vietata per “comprovati motivi di sicurezza e di incolumità pubblica”. Infine, l’articolo 32 afferma che la tutela della salute è un “diritto fondamentale dell’individuo”, ma che costituisce anche un “interesse della collettività".
Dal punto di vista della Costituzione si sono quindi verificate le condizioni per potere applicare i limiti e i divieti a salvaguardia del diritto fondamentale alla salute. L’interesse religioso, anche se meritevole di tutela, viene sacrificato dall’interesse dello Stato di preservare la salute delle persone, comprese quelle stesse che vorrebbero partecipare agli atti di culto.
La decisione del Governo di non consentire le Messe comunitarie, in particolare, si spiega con il pericolo di contagio che le chiese affollate potrebbero rappresentare, soprattutto per la presenza di tante persone anziane.
E’ stato anche precisato che, non disponendo le autorità ecclesiastiche di uno stabile servizio d’ordine, si troverebbero in estrema difficoltà a far rispettare misure organizzative rigide.
Né la forza pubblica potrebbe intervenire perché essa (contrariamente purtroppo a quanto è accaduto) non può entrare negli edifici di culto se non in caso di urgente necessità (Accordo di revisione del 1984).
Tuttavia, appare evidente come il Governo, nell’assumere le proprie decisione, abbia già effettuato un bilanciamento fra la tutela della salute e altri diritti. Stiamo constatando giornalmente come vengano prese in considerazioni varie esigenze, economiche, sportive, turistiche, di cura degli animali, vendita nei supermercati, ecc. con una continua emanazione di disposizioni che ne liberalizzano lo svolgimento, mentre non si faccia cenno a quelle, altrettanto importanti, di culto.
La nota della Conferenza Episcopale Italiana, emanata dopo un improduttivo negoziato con cui affrontare una fase transitoria nel pieno rispetto di tutte le norme sanitarie, ha assunto allora un particolare significato.
Essa, ha costituito un conseguente, doveroso richiamo a quell’impegno giuridico e relazionale fra lo Stato e la Chiesa che, nel pieno rispetto dell’autonomia e sovranità nei loro rapporti, porti alla “reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese”
* Già Presidente del Tribunale di Pordenone
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