Il lavoro riparte, le scuole no. E i bambini?
Un problema che peserà sulle famiglie. Bonus e bay sitter insufficienti
Marta rientra al lavoro, in fabbrica. Torna a occupare il posto alla catena di montaggio. Per lei il lockdown è finalmente finito. L’impresa e i sindacati hanno raggiunto un buon accordo su distanziamenti e sicurezza dei lavoratori, ora l’attività può riprendere. “Dovrei essere felice – sostiene – perché almeno l’azienda è rimasta in piedi. Penso al dramma di tanti amici che sono piombati dentro una triste cronaca di morte economica anticipata. Hanno perso tutto”. Marta ha lasciato la frase in sospeso: dovrebbe essere contenta, ma non lo è, perché resta vivo il tormento della situazione familiare. È sola con due bambini a carico. La sua è una criticità condivisa: il lavoro riprende, ma non le scuole, né qualsiasi altro servizio che si prenda cura dei figli. Marco, il più grandicello, ha undici anni. È un ometto e può cavarsela. A lui piace il computer anche per studiare. Mentre Andrea, di otto anni, è un giocherellone vivace. Soffre star dentro casa, d’altra parte gli spazi sono quelli che sono. L’alloggio popolare non ha neanche il giardinetto.
La madre è preoccupata per loro: “Non posso permettermi di pagare qualcuno. Almeno io sono fortunata, perché i miei figli sono giudiziosi e nel condominio scatta sempre il soccorso solidale dei vicini di pianerottolo”. Ma in molti altri casi la situazione è diversa: la chiusura delle scuole e di ogni altro servizio educativo mette in crisi le famiglie. Sui nonni questa volta non si può contare, perché il coronavirus aggredisce duramente soprattutto loro. Sono persone fragili, che andrebbero tutelate, anche se numerosi anziani sono morti intrappolati in case di riposo, gestite senza scrupoli (non tutte, per la verità). Che ne sarà dei bambini più piccoli con gli asili chiusi? Resteranno parcheggiati a casa. Ci sono degli spiragli per le baby sitter, ma i costi incidono sui magri bilanci, anche in presenza di qualche contributo. Tra l’altro non è semplice accogliere persone esterne, con paure così diffuse. Qualche altro ragionamento porta allo smart working, ma non potrà mai riguardare alcune categorie, come nel caso di Marta. C’è dell’altro? Sì, i congedi parentali, ma sono pensati per una tipologia tradizionale di famiglia che non rappresenta tutto lo scenario nazionale. Tanti sono i monogenitori che non possono permetterseli. E dove esistono situazioni, ancora più gravi, di disabilità? Molti centri specializzati sono chiusi, tutto finisce sul groppone delle famigle.
Ci sono poi le situazioni che sfuggono alle statistiche ufficiali: lavoro irregolare o sommerso. Si intrecciano racconti di persone “invisibili”, che subiscono un doppio tradimento: lasciate costantemente in balìa degli sfruttatori e ora abbandonate ai meccanismi cinici delle povertà da coronavirus. I figli di questi “dannati” dell’economia selvaggia pagano anche il distanziamento dalle attività scolastiche, perché le loro abitazioni, assai precarie, sono senza connessioni. Le disuguaglianze si trasferiscono di generazione in generazione. Non ci sono tutele, perché il welfare familiare è stato pesantemente smantellato a causa di tagli indiscriminati. Da troppo tempo i servizi alla persona non sono più presi in considerazione da una politica litigiosa, che vive nei palazzi, lontana dalla vita quotidiana. Tutto ciò che riguarda la famiglia è una banca voti a rendere riempita soltanto di promesse e di troppa propaganda.
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